Anno 3 - N. 9 / 2004


salute OGGI come IERI

LA PERCEZIONE DEL SAPORE: SIMBOLI E ATTUALITÀ

Il gusto per il cibo, aspetto sensoriale considerato da tutti di grande importanza, è argomento di moda ed è lo spunto per sempre più numerose celebrazioni: fiere a tema, saloni del gusto, anche opportunità per la diffusione di prodotti di nicchia su tutto il territorio nazionale. Il gusto! Quali sensazioni evoca il solo parlarne…

di Ambra Morelli




Il gusto per il cibo, aspetto sensoriale considerato da tutti di grande importanza, è argomento di moda ed è lo spunto per sempre più numerose celebrazioni: fiere a tema, saloni del gusto, anche opportunità per la diffusione di prodotti di nicchia su tutto il territorio nazionale. Il gusto! Quali sensazioni evoca il solo parlarne…

Se “mangiare” è un atto metabolico e “consumare un pasto in compagnia” un atto sociale, “mettere in bocca un cibo” è un atto sensoriale. È una situazione emozionale determinata da un complesso di fattori. Infatti inghiottendo cibo se ne consumano non solo i principi nutrizionali ma anche la cultura alimentare e il “gusto”, cioè quelle complesse qualità del cibo rese diverse dalle caratteristiche personali e psicologiche dei singoli individui.
Il gusto è la principale influenza nella selezione del cibo. Se un cibo “buono” sarà consumato non sarà perché ne distinguiamo i contenuti energetici o nutritivi, ma per i meccanismi di condizionamento che ci faranno dire “mi piace” o “non mi piace”.

Il gusto per ciò che mangiamo è anche un fatto culturale che ci coinvolge globalmente e che permea il nostro vivere. Molti sono i modi di dire, le definizioni, le frasi fatte o i luoghi comuni, non direttamente collegati al cibo, ma che riflettono ciò:
“Prendere per la gola”, “Nutrire la speranza”, “Essere disgustato” o “Avere buon gusto” (qui il gusto non è riferito al cibo ma si estende al grado di raffinatezza nel vivere tipico di chi non è rozzo), “Mangiare con gli occhi”, ma anche “Essere un polentone” o “Mangiare pane e volpe” come rappresentazione mentale per cui il cibo mangiato trasforma le persone identificandole con i cliché con cui l’immaginario collettivo caratterizza l’oggetto o appunto, l’animale.
Oppure, “Un bocconcino per la mamma e uno per te” affettuoso ricatto che fa mangiare comunque, pur di non rischiare di perdere l’affetto della mamma.

Gli esseri umani sono onnivori e hanno bisogno di una dieta variata per introdurre in modo adeguato tutti i nutrienti. L’uomo però molto difficilmente sopporterebbe (il rischio è vomitare!) il sapore dei singoli principi nutrizionali di cui sono composti gli alimenti, come ad esempio gli aminoacidi: ha bisogno invece delle sensazioni gustative. Agli inizi della storia dell’uomo la ricerca del cibo era l’attività principale di sopravvivenza e i sensi erano utili al fine difendersi dall’ingestione di alimenti velenosi o inadatti. Successivamente la ricerca della qualità del cibo si unì al piacere di nutrirsi: il gusto induce a consumare determinati cibi ed è il primo elemento che ne influenza la scelta.

Ma che cos’è il “gusto”? Perché la gente fa la scelta di cibo che fa?
Il gusto è qualcosa di più architettato del sapore. Il gusto di un piatto mette in gioco al tempo stesso la sensibilità gustativa, l’olfatto, la percezione termica, il riconoscimento della forma e della consistenza, la valutazione della struttura degli alimenti: tutto questo scientificamente è definito “palatabilità”. Questo insieme di valutazioni, chiamato dagli inglesi “flavour” o “flaveur” dai francesi, non ha un termine corrispondente nella nostra lingua che abbracci nel significato questo insieme di gradevoli sensazioni.

Il gusto per il dolce è già presente alla nascita, mentre il gusto per l’amaro, il salato e l’acido compaiono molto più tardi. I bambini sono equipaggiati geneticamente per preferire e rifiutare “gusti”, con le prime esperienze alimentari queste predisposizioni sono trasformate in “preferenze”.
La paura per un nuovo cibo è spesso identificabile con il disgusto per l’amaro: alla presentazione per un nuovo cibo i bambini tendono a rifiutarlo (“reazione neofobica” ai nuovi cibi). L’esperienza positiva post-ingestiva quale, per esempio, il senso di sazietà riduce la reazione neofobica; contrariamente il senso di nausea produce un’avversione al cibo nuovo.

Le ingerenze culturali nella selezione del cibo hanno rielaborato e sviluppato sistemi diversi di apprezzamento degli alimenti influenzando le nostre innate predisposizioni, uno di questi è la cottura dei cibi, modalità che ha trasformato il cibo in un momento culturale.
Ma anche il peperoncino è un esempio di adeguamento culturale di grandissimo successo se si pensa che è usato giornalmente da miliardi di persone.
Nel caso del gusto piccante, le interferenze culturali sono riuscite a promuovere un prodotto il cui consumo è opposto alle nostre predisposizioni biologiche poiché l’infiammazione orale che possono dare le sostanze irritanti quali il peperoncino, o altre, sembrano essere di naturale avversità. Parimenti la nostra cultura ha reso piacevoli alimenti di per sé non “palatabili” perché di gusto amaro come il caffè o la birra.

Ci serviamo quotidianamente dei nostri sensi, raramente riflettiamo sui complessi meccanismi che avvengono nella percezione sensoriale.
Olfatto e gusto sono l’accoppiata vincente; è nozione comune che le persone anziane, che perdono sensibilità agli odori, perdano nel contempo il gusto, per il cibo: quando l’odorato è ostacolato si paralizza il gusto.
I nostri sensi di odorato e gusto sono di una notevole sensibilità e finezza discriminatoria tale che nessuno strumento è in grado, oggigiorno, di eguagliarli.
La percezione gustativa è dovuta alle sostanze sapide cioè agli elementi che hanno un gusto, un sapore e la lingua è la sede deputata alla loro percezione. Il nostro naso, però, ha una soglia di percezione, riconoscimento e identificazione molto superiore a quella del gusto (la sua sensibilità risulta mille volte superiore a quella del gusto), anche se l’olfatto è molto più sensibile all’inizio della percezione, dopo tende ad assuefarsi agli odori.

Perché uno stimolo gustativo sia efficace, bisogna che la sua energia non sia troppo debole né troppo forte: oltre questa soglia i nostri sensi non potrebbero percepirlo (per esempio, troppo caldo o troppo freddo in quanto le sensibilità gustative e olfattive sono modulate dalla temperatura degli alimenti, così come mangiare troppo in fretta toglie parte del gusto o fumare mentre si mangia snatura gli aromi).

Tutti i sensi si mescolano nell’apprezzamento di un cibo, rinforzandosi l’un l’altro.
Sensibilità tattile, sensibilità uditiva, sensibilità visiva: i nostri occhi assaggiano prima che noi mangiamo, gli occhi rilevano ciò che si preannuncia come gustoso o meno, sensazioni avvalorate da giudizi sociali o morali.
Molte persone vengono colpite e quindi scelgono le derrate alimentari in base alle informazioni visive, per cui il sapore della menta è ben percepibile solo se il liquido è verde, una caramella alla fragola deve essere rosa, così come l’intensità del sapore di limone dei dolci aumenta con la concentrazione del colorante giallo.

In realtà la rigida classificazione dei sapori in 4 classi aromatiche (dolce, amaro, salato, acido) mortifica l’ampio spettro gustativo non mettendo in luce il continuum dell’esperienza gustativa linguale, cosa che per esempio non accade quando si classificano gli odori o i colori. Significativa è infatti l’esperienza dei degustatori di vini che hanno a disposizione innumerevoli definizioni per classificare i profumi dei vini, molto meno per i sapori.
La memoria ha un ruolo importante in questo gioco dei sapori. Il nostro archivio delle sensazioni può essere molto ampio, dipende dalle esperienze che ognuno fa.

Avere una spiccata sensorialità gusto-olfattiva, così come per gli altri sensi, significa avere avuto la possibilità di abituarsi agli odori e ai sapori, di non aver trascurato questi aspetti fin da piccoli. Diversamente tale capacità è attutita, atrofizzata. La standardizzazione dei sapori e la ridotta presenza di odori, porta infatti ad una incapacità a sentire le sottili e numerosissime differenze di gusto che ogni alimento ha, portando in realtà alla monotonia del monogusto: tutto intensamente dolce o tutto intensamente salato, anche se la “memoria sensoriale” rimane incisa come un’impronta in ognuno di noi ricollegando immediatamente, al momento della percezione, il ricordo del consumo di un cibo legato ad un avvenimento.
Il gusto è condizionato anche dalle tradizioni o dal tempo in cui viviamo, dalle mode. Ciò che per noi oggi è “un buon cibo” o “un buon abbinamento di cibi” non lo era un tempo, così mentre tra i giovanissimi è facile trovare apprezzamento gustativo per un piatto come patatine fritte e ketchup, lo stesso incrocio di sapori può essere considerato assolutamente inappropriato e, quindi sgradevole, a chi ha tradizioni gastronomiche radicate in tempi passati.

La sensibilizzazione che in questi ultimi anni è stata fatta su questo argomento ha portato i suoi frutti tentando di restituire alle nostre capacità sensoriali il ruolo fondamentale che hanno soprattutto in un Paese come il nostro ricchissimo di tradizioni gastronomiche, costumi che si mantengono e che si possono sviluppare in “ricerca” ed evoluzione continua anche di un repertorio alimentare personale.