Anno 4 - N. 10 / 2005


MACIGNO MALIGNO

Storia di una pietra assai comune

di Rosanna Veronesi




A partire dalle statue stele preistoriche, già citate in precedenza, (EOS n°9) si giunge nel territorio lunigianese alle opere novecentesche, dove tutto è in arenaria.
L’arenaria della Formazione Macigno (Oligocene superiore-Miocene inferiore) si presenta con una granulometria in genere grossa o, meno frequentemente, media, n ella sua colorazione grigio-azzurrognola-acciaio ed è stata apprezzata per l’intrinseca bellezza.

La facilità di reperire il materiale ha favorito ampi impieghi; dalle abitazioni, all’arredo sacro, ai manufatti usati nei frantoi (macine, vasche, abbeveratoi), nella pavimentazione in grandi lastre.
Testimonianze architettoniche riconducibili al XV e XVI si possono rilevare nei muri dei palazzi; in genere si tratta di architravi sorrette nella parte superiore da mensoloni nei quali sono stati scolpiti singolari strumenti dell’artigianato locale o le insegne nobiliari, testimonianze della presenza di molte maestranze e scalpellini locali.
Pur non essendo un materiale di facile lavorazione, assumeva talvolta forme particolarmente elaborate non dissimili dal più tenero marmo, anch’esso reperibile nella stessa zona. La difficoltà della lavorazione resa assai difficoltosa dal rischio di frane e dalla durezza della pietra ha stabilito che Macigno volesse significare anche sempre più “Maligno”

Il medioevo è l’età d’oro di questo materiale e quando altrove si diffonde l’uso del mattone, case e palazzi continuano ad essere costruiti in pietra; gli edifici si caratterizzano per i cantonali, gli stipiti, le cornici, i marcapiano e le raffigurazioni poste a protezione per i suoi abitanti, come i tipici ornamenti detti “Facion”.
I sistemi di lavorazione partivano dall’affioramento della pietra che ben osservata ne stabiliva a priori l’uso; dopo la sbozzatura, gli scalpellini, procedevano alla disaggregazione dei granuli differenti e successivamente ne completavano l’opera con la forma desiderata.

Come citato, il medioevo è l’epoca d’oro di questa pietra, in quanto rappresenta per queste valli il transito più agevole per giungere al Nord del Paese, come attestano alcuni bassorilievi ritrovati sulle facciate delle chiese.
I labirinti riconducono alla complessità del cammino, lungo il quale nessuna biforcazione può sviare il pellegrino; mentre le attestazioni interne si completano con ornati vegetali, figure inquietanti, ed elementi d’arredo in generale.
Durante il rinascimento, si aprono importanti cantieri nei quali è confermata la presenza degli esperti scalpellini provenienti dalle valli comasche e luganesi, che si applicano nell’opera dei conventi e chiese e nei palazzi di maggior prestigio dei borghi stessi. A Fivizzano, i modelli si ricollegano invece ai modelli fiorentini.
Nel settecento, stagione di floridità economica, la massima espressione è visibile nei ricchi portali ed è proprio in questo tempo che i “facion” dominano le facciate. Le sculture prendono spunto dai racconti paurosi intorno alle leggende e alle incarnazioni di demoni; riconducono alle disgrazie materiali, alle rovine morali.
La pietra è usata per esorcizzare, è scolpita a tutto tondo, è mostruosa ed inquietante ed è posta a difesa dei suoi malefici.

Anche nell’ottocento la pietra contribuisce alla realizzazione di opere importanti, come il completamento della strada della Cisa e della linea ferroviaria Parma-La Spezia
L’impiego del Macigno trova spazio nei muri di contenimento, nelle pavimentazioni sia dei borghi, sia nelle interno dei palazzi nobiliari e delle più semplici case.
E ancora nel novecento ritroviamo lo stesso materiale sulle facciate che descrivono il lavoro degli scalpellini (per il Dopolavoro di Bagnone di A. Magli) o vengono raffigurati salienti momenti di vita.

Nell’ultimo secolo l’arenaria, nell’edilizia sostituita dall’impiego di nuovi materiali e nuove tecniche, è stata rivalutata e quindi ha assunto un ruolo di prestigio per l’opera di restauro.


LA PIETRA E IL SUO SUONO
La pietra rimanda all'archeologia, alla mitologia, al folclore; legandosi nel contempo alla storia dell'arte e all'architettura ma esiste uno studio ancora più approfondito (Marius Schneider 1972 - Pietre che Cantano) che sostiene che gli uomini, gli animali e tutta la natura, potrebbero scaturire dalle pietre stesse.
Da questa filosofia antica naturale ha origine la posizione primaria del canto e del suo manifestarsi attraverso gli idoli di pietra e del suo culto. Considerando che gli animali selvatici erano talvolta ritenuti incarnazioni di antenati defunti o di dei; si tentò di comunicare con essi, con la loro voce e la loro riproduzione (sonora) attraverso la pietra.
Nel corso del tempo l'imitazione di voci (animali e umane o sovrumane) furono sostituite da un sistema razionale con suoni di altezze diverse nel tentativo di interpretare come simboli di suoni gli animali raffigurati nei chiostri romanici e che, spesso, presero a prestito mitologie orientali.
L'elefante indiano è rappresentato con le ali; è ritenuto nel sistema musicale "colui che è seduto in alto" e tale interpretazione tonale si addice anche all'aquila, all'Idra, agli animali fantastici e giganteschi e che simboleggiano il suono "fa". Il toro sacrificale e il bue rappresentano la notte, l'umiltà e il lutto e sono considerati "mi". L'equilibrio delle forze è espresso dalla nota del pavone "re".
Anche ai capitelli sono attribuiti valori musicali e rapportando i valori spaziali a quelli temporali (musicali) si stabilisce che lo spazio costante che separa le colonne corrisponda anche agli intervalli musicali. Da queste note risulta già una struttura melodica o musica udibile terrena, ossia il riflesso di quella celeste non udibile e che in genere è avvalorata dall'intermediario o corpo invisibile del suono e che l'arte completa in forma di angelo musicante (originariamente veniva raffigurato senza strumento musicale perché già il manto di piume fruscianti emetteva il cantico di lode).
Le chiese medievali, le case, le strade, i duomi gotici con i loro doccioni, come affermava Schneider, bisogna visitarli sotto la pioggia battente perché solo allora ti accorgi che la pietra canta. Le fauci di macigno ululano; i draghi brillano; gli elefanti barriscono sputando getti d'acqua; sono queste le figure che rappresentano l'urlo primordiale a cui lo scultore, l'artista, l'architetto hanno voluto dare forma, riappropriandosi di uno spicchio di cosmo e da cui ha origine anche il suo suono.