Anno 4 - N. 11/ 2005


“In detto scudo vi si commise le sue palle rosse e misso il campo d’oro, con molta bellezza acconce”

Magnificenza alla corte dei Medici

La decorazione sobria del palazzo medici rispecchiava la mentalità e la grazia di una società ricca sì, ma nobilitata dalla ricerca della bellezza

di Giuliano Tessera



Stemma dei Medici-Lorena


I Medici, come è noto, hanno lasciato una traccia indelebile sulla storia di Firenze e della Toscana.
A Firenze ebbero un ruolo egemone per più di un secolo, sulla Toscana per più di due secoli: espressero cardinali, papi a Roma e regine in Francia (vedi albero genealogico) ed esercitarono una straordinaria influenza sulla cultura del ‘400, del ‘500, del ‘600, ma anche su quella dei secoli successivi con la formazione di inestimabili collezioni d’arte, degli Uffizi, Palazzo Pitti etc.
Originari del Mugello li troviamo tra la “gente nova”, a Firenze, presso il Mercato Vecchio, dove esercitavano una sorta di potere rionale. Sono ricordati da Dino Compagni, storico e uomo politico (1255-1324), nella sua Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, come masnada aggressiva e violenta nella lotta contro i Guelfi bianchi, con responsabilità anche per l’esilio di Dante.
Benvenuto Cellini, orafo, scultore e scrittore (1500-1571) nella sua Vita scritta da lui medesimo, attesta che lo stemma dei Medici, in bella mostra sullo spigolo del Palazzo Medici, appunto, era ben colorito: uno scudo di pietra sul quale erano infisse sette palle rotondissime: “In detto scudo vi si commise le sue palle rosse e misso il campo d’oro, con molta bellezza acconce”.
Tutti gli stemmi erano variamente coloriti ed acquistavano significati precisi assolutamente identificativi: lo stemma col giglio bianco in campo rosso ad esempio, rappresentava la Firenze ghibellina; quello col giglio rosso in campo bianco, quella guelfa.
Una ipotesi leggendaria fa risalire queste palle rosse in campo d’oro a Carlomagno, che, ammalatosi nei dintorni di Firenze avrebbe trovato giovamento dall’applicazione di sette coppette, inventate per cavar sangue, da un cerusico mugellano. Dopo di che, quale ricompensa, avrebbe concesso all’ingegnoso medico l’emblema nobiliare, con sette coppette appunto o palle.
Tra coppette, palle e pillole, da un punto di vista dell’immagine, non c’è molta distanza e addolcire la pillola o “indorarla” significava renderla più gradevole. Si suppone pertanto che qualche antenato , precedente il primo, Chiarissimo Medici, iscritto all’arte di Calimala, cioè della lana, fosse stato probabilmente medico.
Ai primi del 400 cominciò la fortuna economica della famiglia, che con Giovanni Bicci ebbe la prima casa sulla piazza del Duomo e acquisì terreni attorno a San Lorenzo, lungo la via Larga, verso San Marco. Se Giovanni fu “cambiatore di moneta” e alieno dalla vita politica, il figlio Cosimo, dopo un periodo di esilio, riuscì a sottomettere il rivale Rinaldo degli Albizi. Fu in quel frangente che decise di costruirsi non una torre o una casa qualsiasi, ma un palazzo
Le grandi famiglie borghesi, raggiunto il benessere e avendo ramificato il loro potere in tutta Europa, avevano bisogno anche di una architettura che mostrasse la potenza raggiunta fuori dall’intrico della case-torri e dalle viuzze rumorose e brulicanti dei bottegai.
Cosimo si rivolse allora a Filippo di ser Brunellesco che era riuscito a imporsi per aver progettato la cupola di Santa Maria del Fiore e l’Ospedale degli Innocenti, opere di grande perfezione formale, e che stava allora rinnovando l’antichissima chiesa di San Lorenzo, consacrata più di mille anni prima da Sant’Ambrogio. Il palazzo sarebbe stato, nelle intenzioni, l’espressione architettonica più completa e originale del secolo, corrispondente agli ideali umanistici e alle condizioni di vita della nuova società borghese.
Non si sarebbe ispirato a un antico castello, come aveva fatto Arnolfo da Cambio per il Palazzo della Signoria, ma una casa nuova per una nuova società, sulla piazza di San Lorenzo, in posizione isolata, visibile da ogni lato. Ma, come ci racconta il Vasari, parve a Cosimo “troppo sontuosa fabbrica”, catalizzatrice di invidia e gelosia dei concittadini. Il progetto andò così in fumo e il Brunelleschi “ruppe il disegno”.
Cosimo scelse allora Michelozzo di Bartolomeo Michelozzi, di origini borgognone, discepolo di Donatello, fedele amico dei Medici, da sempre. A lui venne affidato il restauro di San Marco, la villa di Cafaggiolo, il convento del Bosco ai Frati e, appunto, il Palazzo Medici a Firenze, spostandone però l’ubicazione da piazza San Lorenzo, dove sarebbe stato troppo in vista, a Via Larga. Nacque così un cubo perfetto, con un cortile interno con colonne classiche, con finestre con eleganti bifore, con un effetto complessivo di solidità, ma non pesante, scandito nei tre piani con esattezza razionale come ben volevano gli ideali umanistici. La decorazione sobria rispecchiava poi la mentalità e la grazia di una società ricca si, ma nobilitata dalla ricerca della bellezza.
La famiglia dei Medici però “era poca” per così grande palazzo: Cosimo stesso con la moglie contessina de’ Bardi, suo figlio, Piero il Gottoso, con la moglie Lucrezia Tornabuoni (soprannominata “l’unico uomo della famiglia”), coi suoi cinque figli, Lorenzo, Giuliano, Maria, Lucrezia e Bianca.
Protettrice di letterati, Lucrezia aveva accolto tra i suoi figli anche l’orfano Agnolo Poliziano, poeta e umanista (1454-1494) che sarà autore, tra l’altro, delle famose Stanze per la giostra, poemetto interrotto in seguito alla congiura dei Pazzi eseguita (26 aprile 1478) in Santa Maria del Fiore dove Bernardo Bandini e Francesco de’ Pazzi, guelfi avversari dei Medici, assalirono Giuliano e Lorenzo de’ Medici, pugnalando il primo. Per inciso tale congiura provocò l’intervento di papa Sisto IV contro Firenze, ma rafforzò il potere del Magnifico.
Mirabili sono gli affreschi della cappella del palazzo ( L’adorazione” di Filippo Lippi, il “Corteo dei Re magi” di Benozzo di Lese, già aiuto del Beato Angelico che riecheggia i variopinti ed esotici cortei dei padri greci giunti da Costantinopoli in occasione del Concilio indetto da papa Eugenio IV nel 1439 per sanare il secolare scisma tra la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente, voluto fortemente dai Medici a Firenze e qui accolto con esultanza.
Qualcuno però era pronto ad accogliere ciò che Cosimo aveva rifiutato: Luca Pitti, prima amico e poi rivale dei Medici, del “partito del poggio”, di là d’Arno, contro il “partito del piano” capeggiato dai Medici di Via Larga, si apprestava così a scegliere un progetto architettonico teso ad umiliare il figlio di Cosimo già morto, Piero il Gottoso.
Una costruzione “nella quale le finestre fossero grandi quanto le porte del Palazzo Medici, e che dentro il cortile ci potesse stare l’intera costruzione di Via Larga”. Nel 1457, sulla collina di Bogoli (poi Boboli) si dava inizio alla costruzione di Palazzo Pitti che, però, nel 1549 venne acquistato da Eleonora di Toledo per poi diventare, ironia della sorte, la sede del Granducato di Toscana, retto proprio dai Medici.