Anno 6 - N. 17/ 2007


STORIA DELLA MEDICINA

La rivoluzione circolatoria WILLIAM HARVEY

Il parto inglese di una gravidanza italiana La definitiva concezione anatomica e fisiologica dell’apparato cardiocircolatorio

di Francesco Piscitello



De motu cordis (Francoforte, 1678)


La concezione galenica della funzione del cuore e dei vasi sanguigni.

Il magistero galenico circa la struttura e le funzioni del corpo ebbe pieno vigore per molti secoli e la perdita di questo o quel frammento di quella concezione, a causa delle scoperte che soprattutto a partire dal cinquecento si andavano via via accumulando, era accompagnata spesso da un grande furore polemico che animava il mondo scientifico e le tappe della scoperta della circolazione del sangue, soprattutto quella conclusiva di William Harvey, non fecero certo eccezione.
Il sangue, secondo Galeno, si forma nel fegato per elaborazione degli alimenti che gli vengono forniti dallo stomaco ed ha una successiva duplice destinazione: una parte (sangue nutritivo) viene attratta dagli organi di tutto il corpo dove viene interamente consumato; un’altra parte raggiunge la parte destra del cuore considerata, come del resto la sinistra, una sola cavità senza distinzione, se non del tutto superficiale, tra atrio e ventricolo. Qui giunto attraversa in gran parte il setto che separa la sezione destra da quella sinistra del cuore attraverso minuscoli pori ed in parte minore viene convogliato ai polmoni per mezzo della “vena arteriosa” (che noi conosciamo come arteria polmonare) per la loro nutrizione ed anche in questo caso vi si esaurisce. Il sangue, che, attraverso i pori della parete che separa le due sezioni del cuore ha raggiunto la cavità di sinistra, viene inviato ai polmoni per altra via (l’“arteria venosa”, ossia le nostre vene polmonari ritenute una sola) al fine di espellerne, attraverso l’espirazione, le “fuliggini”: per la stessa arteria venosa - che dunque è percorsa due volte, nei due sensi - il sangue torna alla parte sinistra del cuore dove viene mescolato col pneuma del quale si è arricchito nel suo passaggio attraverso i polmoni. Di qui il sangue, divenuto “spiritoso”, ossia tenue e vaporoso, ricco di spirito vitale, si distribuisce agli organi tramite l’aorta ed ancora una volta viene interamente consumato. Pur essendovi in Galeno una distinzione in due tipi di sangue, equivalenti al nostro sangue venoso ed arterioso, non esiste l’idea di un suo percorso anulare: gli organi ne vengono invasi a ondate successive di materiale ematico che vi si esaurisce e che dunque richiede di essere continuamente rinnovato con un ciclo continuo di produzione e consumo.

I PREDECESSORI DI HARVEY

Già gli studi sul cuore di Leonardo avevano condotto, accanto ad altre acquisizioni importanti ma per ragioni diverse, a seri dubbi sulla concezione galenica. Insufflando con forza aria nella trachea, per esempio, egli non aveva mai osservato la sua presenza nella parte sinistra del cuore: il pneuma, dunque, non poteva pervenirvi attraverso alcun vaso sanguigno, giacché l’albero respiratorio si dimostrava essere a fondo cieco.
Un posto particolare, nella storia della circolazione, spetta a Miguel Servet di Vilanova de Sixena, in Aragona, arso sul rogo a Ginevra nel 1553 insieme a gran parte delle copie del suo Christianismi Restitutio: in questo trattato di teologia dove nega il dogma trinitario, Servet sostiene che il sangue che giunge ai polmoni attraverso la vena arteriosa (ma d’ora in poi la chiameremo col suo nome d’oggi, “arteria polmonare”), dopo essersi arricchito d’aria ed essersi mescolato con questa, passa attraverso una comunicazione con i condotti diretti alla parte sinistra del cuore alla quale arriva per loro mezzo: viene così chiaramente definito, seppure con qualche imprecisione circa alcuni aspetti particolari, il tratto di percorso del sangue dal cuore destro ai polmoni e da questi al cuore sinistro, ossia la circolazione polmonare.
In realtà il circolo polmonare era già stato descritto nel secolo XIII dall’arabo Ibn Nafis nel suo Shahr al Qanun (cfr. EOS, 16/2007) ma, come fa osservare Pazzini (1) l’importanza di questa affermazione, sepolta fra i commenti di Avicenna, non venne colta dai contemporanei che continuarono a credere a Galeno: e in tutti i casi essa era sconosciuta al Servet, l’opera del quale, a sua volta, è quasi sicuramente ignota a Realdo Colombo quando descrive accuratamente la circolazione polmonare nel De re anatomica, pubblicato postumo nel 1559, oltre che allo stesso Harvey che riconosce a Colombo, e non a Servet, il merito di avergli fornito questo essenziale spunto per la ricerca e la riflessione (2).
Un grande contributo alla comprensione della fisiologia circolatoria viene anche da Andrea Cesalpino (Arezzo, 1519 - 1603), allievo di Realdo Colombo, botanico e medico. Sebbene non scevra di errori - egli crede infatti, ad esempio, che vi sia uno scorrimento di sangue dalle vene alle arterie (3) - la concezione di Cesalpino è ormai prossima a quella che, dopo Harvey, diverrà definitiva: le “boccucce” che Galeno asseriva mettere in comunicazione l’aria dei polmoni con i vasi diretti al cuore non esistono, come peraltro aveva già dimostrato Leonardo e il sangue non fuoriesce dai capillari - della cui esistenza condivide l’idea già avanzata da altri (la loro dimostrazione definitiva spetta al Malpighi) - per distribuirsi libero nei tessuti del corpo e nei polmoni. L’apparato cardiovascolare è dunque un sistema chiuso, idea che, accanto all’altra che il sangue ha uno scorrimento centripeto dalle vene al cuore e centrifugo attraverso le arterie, costituisce un caposaldo della teoria circolatoria, la circulatio sanguinis, come egli stesso la definisce, sebbene egli riferisca il termine alla sola circolazione polmonare: cosa che, qualche decennio dopo, gli verrà rimproverata dal Borrelli come un’occasione mancata, essendovi tutti i presupposti, nei suoi scritti, per estendere il concetto all’intero apparato cardiovascolare (4).

WILLIAM HARVEY

William Harvey studia medicina a Padova, dove è allievo del più famoso anatomico dell’epoca, Fabrizio d’Acquapendente, e si laurea nel 1602. Tornato in Inghilterra, esercita la professione a Londra; nel 1609 è fellow del Royal College of Physicians dove, dal 1615, riceve l’incarico di lettore d’anatomia che mantiene fino al 1656, l’anno precedente la morte. Medico di corte di Giacomo I e poi di Carlo I, nel 1639 diventa senior dei medici reali. A causa dei suoi rapporti con la famiglia reale nel 1642, durante la guerra civile, la sua casa viene saccheggiata e molti dei suoi scritti vanno perduti (5) .
L’Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus, l’opera harveyana fondamentale, è del 1628. In una prima parte si dimostra l’inconsistenza delle teorie galeniche sul movimento dell’aria e del sangue, viene descritta l’azione dei ventricoli e degli atri, si evidenzia la funzione delle arterie e si dimostra che il sangue non passa dal ventricolo destro al sinistro attraverso i pori del setto ma passando per i polmoni. Si tratta comunque di cose già note: ne parlano già diffusamente Colombo e Cesalpino. Harvey si pone però un problema che i suoi predecessori non avevano preso nella dovuta considerazione: se ad ogni ciclo cardiaco il cuore mette in movimento il sangue prodotto dal fegato e poi questo si esaurisce nel corpo, quanto dovrà esserne prodotto ogni giorno? Se ad ogni sistole viene espulsa dal cuore circa mezza oncia, solo per le mille sistoli che si verificano in mezz’ora - e qui sbaglia i calcoli: in mezz’ora, a riposo, le sistoli sono circa il doppio - occorrono cinquecento once di sangue, ossia press’a poco quindici chili. Ma ciò significa, ammesso che tutto l’alimento ingerito si trasformi in sangue, che un uomo dovrebbe mangiare quindici chili di cibo ogni mezz’ora, trenta in un’ora e ventiquattro volte di più in una giornata: il che non accade. Il cuore dunque non spinge sangue neoformato e quello al quale trasmette il movimento non può che essere sempre lo stesso. Perciò deve muoversi circolarmente.
Il problema ancora aperto è definire quali siano le vie coinvolte. Harvey conosce l’anatomia e la funzione del cuore, conosce la direzione del sangue nelle arterie e nelle vene: per completare la descrizione del percorso anulare mancano i capillari. Harvey - che dispone solo di una lente, non può vederli, come non potevano vederli Colombo ma soltanto condividere l’idea, non nuova, della loro esistenza. Tuttavia elabora un esperimento che dimostra il passaggio di sangue dalle arterie alle vene attraverso questi canali invisibili. Legato un braccio con un laccio abbastanza stretto da impedire il passaggio del sangue arterioso da sopra a sotto il legame e del sangue venoso da sotto il legame a sopra, allenta la stretta del laccio abbastanza da lasciar scorrere il sangue attraverso le arterie ma non abbastanza da permetterne il flusso attraverso le vene ed osserva che le vene superficiali si inturgidiscono, a riprova che il sangue è passato dalle arterie alle vene: attraverso gli invisibili vasi capillari.

IL VALORE DELL’OPERA DI HARVEY

Da più parti si rimprovera ad Harvey di avere fatto scarsa menzione delle ricerche e delle concezioni dei suoi predecessori italiani ed in questo rimprovero c’è sicuramente una parte di vero. L’idea di un moto circolare del sangue si è indubbiamente alimentata degli studi italiani, soprattutto di Colombo e , tanto che, nelle proprie descrizioni, usa quasi le stesse parole. Non si può tuttavia negargli il merito di avere portato a compimento, con riflessione e sperimentazione rigorose, la lunga storia della circolazione del sangue approdando a quella conclusione definitiva che sarà oggetto del rimprovero di Borrelli a Cesalpino: il sangue percorre tutto il corpo secondo un movimento circolare e non soltanto il tratto cuore-polmoni.


I NEMICI DI HARVEY
Il De motu cordis gettò ovviamente lo scompiglio nel mondo accademico. Il Primerose, voce importante nella storia della pediatria, confutò la teoria circolatoria harveyana tanto per quanto riguarda la struttura dell’apparato circolatorio quanto per i meccanismi sui quali si regge la sua funzione ed un Cecilio Folli, udinese che esercitava in Venezia, portò addirittura una prova anatomica della falsità delle idee di Harvey, avendo reperito, in un cadavere, la presenza di un forame nel setto interatriale: il sangue passava dunque dalle sezioni destre a quelle sinistre del cuore direttamente e non passando per i polmoni. Sfortunatamente per lui, quel forame non rappresenta la normalità anatomica: si tratta invece di un’anomalia congenita della struttura del cuore, la pervietà del setto interatriale, da cui era affetto il cadavere autopsiato. Ma il detrattore più feroce fu il grande Riolano, la cui autorità rappresentava un serio pericolo, tanto che una Exercitatio anatomica secunda fu espressamente indirizzata al Riolano stesso.
Tra i favorevoli alle sue tesi, Harvey potè tuttavia contare su un nome d’eccezione: Cartesio.

I CAPILLARI PRIMA DI MALPIGHI
L’esistenza dei capillari, attraverso i quali il sangue transita dal sistema arterioso a quello venoso, costituisce un pilastro importante sul quale si regge la teoria circolatoria del sangue: ma, di piccolissime dimensioni come sono, non possono essere visti se non col microscopio, osservazione che farà Malpighi ben dopo la pubblicazione del De motu cordis. Harvey tuttavia, con l’esperimento del laccio, ne dà la dimostrazione indiretta.
L’idea di questi piccolissimi vasi è assai antica, anche se il loro ruolo non è correttamente interpretato. Ippocrate e Galeno stessi ne parlano, rispettivamente, nel De locis homine e nel De venarum arteriarumque dissectione; il Falloppio indica i più piccoli vasellini venosi con il termine di capillamenta e Cesalpino, in Peripateticarum questionum libri V, a proposito della vena cava e dell’aorta, scrive che questi vasi... in capillamenta tenuissime scissa resolvuntur... (*)
(*) A. Pazzini: STORIA DELL’ARTE SANITARIA. Minerva Medica, Torino - 1973.