Anno 6 - N. 17/ 2007


OGGI COME IERI

PER UN PIZZICO DI SALE

La “civilizzazione” porta ora ad assumerlo liberamente, ma gli eccessi - si sa - non fanno bene, tanto che la comunità scientifica mette in guardia sui danni alla salute dal suo esagerato consumo. È da diecimila anni che si ricava…

di Ambra Morelli



Saliera, opera di Benvebuto Cellini (oro e smalto, 1540-43)


Ci sono cose di uso abituale alle quali diamo poco valore, non ci soffermiamo su di esse perché le consideriamo scontate: una di queste è il sale. È una risorsa alla portata di tutte le tasche perché economicamente di scarsa importanza, ma ha percorso la storia dell’uomo, segnato il progresso, scatenato guerre e ribellioni.
Nel 1930 la famosa “marcia del sale” portò milioni di indiani, guidati da Gandhi, a procurarsi autonomamente tale elemento opponendosi così all’oppressione del monopolio inglese. “In questa manciata di sale c’è la liberta dell’India” fu la sintesi che il Mahatma propose nel suo rivoluzionario gesto, ed oltre ai più specifici significati politici legati all’indipendenza nazionale, segnò concettualmente la fine dell’esclusiva dello sfruttamento di un elemento basilare per l’essere umano.
Il sale, inteso come cloruro di sodio, è indispensabile per la sopravvivenza dell’organismo anche se il fabbisogno umano è di minime quantità. La “civilizzazione” porta ora ad assumerlo liberamente ma gli eccessi, si sa, non vanno bene tanto che la comunità scientifica mette in guardia sui danni alla salute causati dal suo esagerato consumo.

È da diecimila anni che si ricava il sale dall’evaporazione dell’acqua di mare o dai depositi in forma solida delle miniere. Le popolazioni che risiedevano lungo le coste del Mediterraneo avevano imparato a ricavare il sale da ampie vasche artificiali, le saline appunto, situate lungo i litorali marini. Ma anticamente altri procedimenti di estrazione sfruttavano sorgenti di acque salate che sgorgavano in superficie come ad esempio i pozzi salsi di Volterra che fornirono sale agli etruschi, o i laghi degli altipiani iraniani o, in Messico, quelli che rifornivano gli Atzechi, inoltre, si ricavava sale dalle alghe marine o si procedeva alla cottura della torba per utilizzarne poi le ceneri, oppure nelle zone a scarso soleggiamento, lo si otteneva attraverso la cottura di acqua di mare. Tutti sistemi caduti in disuso perché assai poco vantaggiosi.
Troviamo una ricca documentazione sulla storia delle saline negli archivi monastici perché la maggior parte di esse erano gestite dai monaci e i monasteri si trovavano spesso lungo le vie del sale tanto da essere, abati e abbazie, mediatori importanti di tale produzione e traffico. Il sale non era una merce ricca come le spezie o la seta ma era usato come moneta di scambio, a pari dell’oro, per esempio nelle regioni sahariane e, comunque, la sua commercializzazione faceva arricchire, con i proventi della sua tassazione, l’Impero Romano così come i potenti di India e Cina.
La necessità di disporre di sale in abbondanza anche per altri usi come ad esempio la conservazione dei cibi, fece nascere produzioni su vasta scala e vie commerciali per la distribuzione. Il percorso che, dalle saline del litorale di Ostia si portava nell’entroterra attraverso la via Salaria, ne è una prova tuttora esistente, ma c’erano anche altre vie salarie, dagli affascinanti percorsi, come quelle che attraversavano il Sahara.
I romani fecero delle saline una vera e propria industria, dalla produzione alla commercializzazione, fino ad ottenere il monopolio. Il sale non è mai stato considerato un prodotto strategico poiché ogni popolo aveva le proprie risorse ma lo sfruttamento di esse, prima sulla produzione poi sulla distribuzione, creò il sistema delle gabelle e del monopolio: lo Stato perciò determinava il prezzo del sale. La durata di questo monopolio è stata lunghissima se si considera che in Italia l’imposta sul sale è rimasta fino al 1975.
L’esigenza di avere a disposizione il sale era, ai tempi dei romani, legata alla produzione di garum (condimento a base di interiora di pesce lasciate macerare al sole, elemento gastronomico molto importante per l’epoca) e di pesce conservato sotto sale. Il sale, già dal Neolitico, era l’unica possibilità di conservare gli alimenti, è solo successivamente che diventa importante anche come insaporitore.
Il gusto per il sale è quindi un’acquisizione culturale: esso rafforza gli aromi ed è diventato un fattore di carattere emozionale solo in un momento successivo.