Anno 6 - N. 18/ 2007


Lettura di un dipinto I capolavori dell’arte fiamminga

“Le Sette Gioie della Vergine”” di Hans Memling

In questa tavola forse la prova di un passaggio da Milano del grande pittore fiammingo

di  Maria Giuseppina Malfatti Angelantoni



“Le Sette Gioie della Vergine” (1480, part.) Monaco, Alte Pinakothek


Tra i dipinti più amati da Josephine Beauharnais ve ne era uno, acquistato nel 1804 sul mercato antiquariale belga, dal programma iconografico complesso, indicato spesso, ed erroneamente, come “La Passione”. L’Imperatrice era una donna dal gusto raffinato e molto avanzato, prediligeva, quando ancora si apprezzavano solo i grandi pittori del ‘600 e del’700, i “ primitivi” sia italiani che fiamminghi, e contribuì col suo collezionismo, alla loro conoscenza e valorizzazione.
Alla sua morte il quadro passò al figlio Eugenio per arrivare nel 1827 nelle collezioni di Ludovico I di Baviera, dalle quali fu portato alla Alte Pinakothek di Monaco, dove è tuttora conservato.
Questo dipinto era l’opera di Hans Memling denominata Le Sette Gioie della Vergine, un olio su tavola dalle dimensioni di cm 81 x 189. La citazione delle Sette Gioie della Vergine nasce forse in parallelo con i suoi Sette Dolori che, dalla metà del ‘400, erano divenuti oggetto di meditazione e di culto in ambito fiorentino. In questo quadro vi è la rappresentazione di Gerusalemme, città ideale, che fa da sfondo a sette eventi gioiosi vissuti da Maria come Madre di Cristo.
Nela composizione a tema mariano gli episodi rappresentati, che appaiono come su un arazzo, disposti lungo linee ideali, sono: l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione, la Pentecoste, l’Ascensione e l’Assunzione. Ma fra le costruzioni che fanno da quinte agli episodi ce ne sono alcune che hanno caratteristiche architettoniche inconsuete in un dipinto nordico, sembrano piuttosto edifici di città italiane. Due in particolare, verso l’alto a sinistra, davanti all’episodio dell’incontro fra Erode e i Re Magi, ricordano un palazzo e una chiesa come si potevano vedere a Milano nel ‘400.
Il palazzo è rosato, in pietra, a pianta quadrata, con una corte centrale, il tetto a terrazza e un grande marcapiano. Le finestre sono ad ogiva con una grande cornice decorata. Si tratta di un palazzo in stile italiano e assomiglia molto a quello disegnato nel Trattato di Architettura del Filarete, cioè il Banco Mediceo di Milano, sede della banca dei Medici, diretto negli anni ‘60 del ‘400 da Pigello Portinari. Questo illustre fiorentino, inviato quale banchiere presso gli Sforza da Cosimo de’ Medici, era il fratello maggiore di Tommaso, responsabile del banco dei Medici a Bruges, dove era diventato grande estimatore e committente di Hans Memling che qui aveva la propria bottega.
Questo palazzo di Milano non esiste più; era presso il teatro alla Scala e fu distrutto alla fine del ‘700 quando venne risistemata tutta la zona intorno al teatro. Lo si può conoscere solo dai disegni dell’antico codice Valenciano (Magliabechiano) del Trattato di Architettura di Antonio Averlino, detto il Filarete, architetto e scultore fiorentino, profondo conoscitore delle teorie di Vitruvio. Egli aveva scritto quest’opera per descrivere la città ideale, “Sforzinda”, concepita per il signore di Milano Francesco Sforza. Quando, nell’ultimo libro del suo Trattato, il XXV, egli parla dell’abitazione ideale per un uomo ricco e potente, fa la descrizione del palazzo del Banco Mediceo del quale, nel disegno citato, si vedono la facciata, il portale, il grande marcapiano, le finestre dalla ricca cornice e il tetto a terrazza. Un’eco di questo disegno è visibile nella parte più antica dell’Ospedale Maggiore “ La Ca’ Granda” di Milano opera anch’essa del Filarete.
Le sale del Banco Mediceo erano state affrescate da Vincenzo Foppa, il più grande artista lombardo della seconda metà del ‘400, e da Zanetto Bugatto, pittore degli Sforza, inviato da Bianca Maria a Bruxelles nella bottega di Roger Van der Weyden.
La chiesa, che nel dipinto di Monaco si trova davanti al palazzo “rosato”, è di stile lombardo, in mattoni, con larga facciata “a capanna” e sul dietro ha una costruzione non terminata, quasi una torre quadrata, e un altro edificio molto largo. Questo complesso poteva essere la chiesa domenicana di Sant’Eustorgio, al tempo fuori della città di Milano, col convento e la cappella costruita per Pigello Portinari. Anche per questa costruzione l’architetto era stato il Filarete e la decorazione a fresco dell’interno, con scene della vita di San Pietro Martire e della Vergine, era stata eseguita da Vincenzo Foppa negli anni che vanno dal 1462 al 1468.
Sullo sfondo del quadro di Monaco, in alto a sinistra e a destra, Memling rappresenta un paesaggio lacustre lombardo, come si può vedere nella zona dei laghetti a nord di Milano, in Brianza vicino al lago di Como. è lo stesso paesaggio rappresentato dal Foppa negli affreschi della cappella Portinari e che Memling aveva già proposto nel dipinto della Galleria Sabauda di Torino Scene della Passione di Cristo. Qui c’è anche il famoso ponte ad arcate di Lecco.
Tutti questi elementi: il palazzo “rosato”, la chiesa dalla larga facciata, il paesaggio lacustre e la citazione dei dipinti della cappella Portinari, conducono all’ipotesi di un passaggio di Memling da Milano. Nessun dipinto, nessuna stampa, nessuna descrizione avrebbe permesso al pittore del Nord di rappresentare il palazzo, la chiesa e il paesaggio lacustre così fedelmente. Non c’è però alcuna documentazione scritta per sostenere questa ipotesi, gli archivi milanesi su questo punto tacciono, almeno fino ad oggi.
Possiamo nondimeno verificare se questo viaggio sarebbe potuto avvenire. Tommaso Portinari nel 1469 torna a Firenze per affari e per prendere moglie, si sposa infatti in quell’anno con la dolce Maria Baroncelli nota, come lo sposo, attraverso il magnifico doppio ritratto di Memling al Metropolitan Museum di New York e il grande Trittico Portinari di Hugo Van der Goes agli Uffizi. Il viaggio del banchiere fiorentino da Bruges a Firenze è ben documentato.
Egli torna in patria insieme ad Angelo Tani che aveva diretto il Banco Mediceo di Bruges prima di lui. Tommaso aveva già avuto alcune opere da Memling, tra queste Il Giudizio Finale di Danzica, cominciato dal pittore per Angelo Tani e terminato per lui; quadro molto famoso per il suo avventuroso sequestro da parte di un corsaro baltico che lo donerà alla cattedrale della città polacca.
Nel 1469 a Milano muore Pigello Portinari e non si può escludere che il fratello Tommaso, in viaggio verso Firenze, fosse passato da questa città per motivi familiari nel momento in cui il fratello secondogenito Assareto ereditava il banco Mediceo milanese. Non si può neppure escludere che Tommaso, in stretto rapporto col duca di Borgogna Carlo il Temerario, di cui era finanziatore (e a causa del quale farà fallire il Banco di Bruges) avesse incontrato Galeazzo Maria Sforza, che in quel momento aveva concluso un trattato di alleanza col Signore borgognone.
L’importanza e la segretezza di questo possibile incontro fra Tommaso Portinari e il Signore di Milano potrebbero fornire una spiegazione all’assenza di documenti negli archivi milanesi. E il giovane banchiere fiorentino poteva avere con sé il suo pittore Hans Memling che a Milano avrebbe potuto incontrare il famoso Vincenzo Foppa e altri artisti lombardi.
Dopo Milano Tommaso Portinari continua il suo viaggio per Firenze e con lui poteva ancora esserci Memling. Nei suoi dipinti di Monaco e di Torino c’è un particolare, una cupola non finita, nella quale si può riconoscere quella di Santa Maria del Fiore a Firenze, opera del Brunelleschi, al tempo non ancora portata a termine.
Ciò che potrebbe farci dubitare circa questo viaggio di Memling in Italia, sulla base del dipinto di Monaco, è la data: 1480. Perché una testimonianza e un ricordo di questo evento in un dipinto fatto per un committente di Bruges a distanza di dieci anni? Il committente fiammingo era un ricco mercante di pelli che fece dono della tavola alla cappella della sua Corporazione nella chiesa di Notre Dame di Bruges, ma forse il pittore volle ugualmente citare luoghi ed edifici che gli erano rimasti nel cuore e che già aveva in parte rappresentato nella tavola di Torino, datata 1470-71. Forse Memling aveva ancora voluto rendere omaggio alla famiglia Portinari poiché gli edifici “milanesi” da lui rappresentati nel quadro di Monaco erano le proprietà più importanti e note dei Portinari a Milano: il palazzo del Banco, dove essi abitavano, e la loro cappella nella prestigiosa chiesa domenicana di Sant’Eustorgio.
Il passaggio di Memling da Milano e da Firenze resta un’ipotesi seducente; la presenza del pittore in Lombardia, e poi in Toscana, darebbe alla fine una spiegazione alle forti influenze fiamminghe riscontrabili in alcune opere lombarde quali la Madonna Cagnola, dell’omonima collezione a Gazzada, e al mutamento nella tecnica pittorica dello stesso Leonardo proprio a partire dal 1470. E potrebbero anche essere spiegate e meglio comprese certe influenze italiane nell’opera di Memling. Già nell’800 uno storico dell’arte tedesco, il Kämmerer , aveva ipotizzato un viaggio del fiammingo a Roma (e nel nostro dipinto è visibile anche il Colosseo! ) dove sarebbe potuto andare da Firenze percorrendo il tratto di Via Francigena che passava da Arezzo e Borgo Sansepolcro. La visione diretta degli affreschi di Piero della Francesca in queste due città potrebbe così spiegare le innegabili citazioni della pittura del Maestro toscano nell’opera di Memling quali la raffinata “atarassia”e la levigata plasticità degli ovali femminili, inscrivibili in rettangoli aurei, suscitata dal sapiente uso della luce.
Ma ce n’è uno soprattutto, fra i dipinti di Memling, che potrebbe confermare il suo viaggio in Italia e la veridicità dei luoghi, degli edifici e dei dipinti italiani citati, è L’Annunciazione del Metropolitan Museum di New York. Nel bell’interno fiammingo, nel segreto della sua stanza, la Vergine sembra svenire all’annuncio sconvolgente dell’arcangelo Gabriele, due angeli devono sostenerla e il suo ventre è già palpitante. Un’iconografia inconsueta in ambito occidentale. è forse il ricordo dell’ affresco visto in una cappelletta della campagna toscana? Non è forse questa una citazione delicata della possente Madonna del Parto di Monterchi, opera di Piero della Francesca?
Hans Memling è annoverato tra i più importanti pittori fiamminghi del ‘400; in verità egli era nato nella città tedesca di Seligenstadt verso il 1430, ma si trasferì, già adulto e “maestro”, a Bruxelles per lavorare nella bottega di Roger Van der Weyden, dove apprese a dipingere con la tecnica e lo stile fiamminghi. Successivamente Memling, per svolgere la sua attività di pittore legato all’alta committenza borghese, si portò nella ricca città di Bruges, dove pochi decenni prima aveva vissuto e lavorato il grande Jan Van Eyck.
Qui Memling realizzò alcune delle sue opere più belle e più note fra le quali il grande Trittico dei Due San Giovanni e La Cassa di Sant’Orsola per l’Ospedale Sint Jan.
è inquietante notare come il declino e la “morte” di Bruges, durati alcuni secoli, avessero portato con sé anche la fama e la conoscenza stessa del pittore che alla fine dell’800 era conosciuto come personaggio improbabile e di fantasia. Anche il suo nome era stato dimenticato, invece di Memling si parlava di Hemling. Furono le mostre e gli studi che proprio dalla fine del secolo XIX presero avvio a ridare a questo grande artista la vera identità e la sua giusta fama.
L’ ipotesi del viaggio in Italia di Hans Memling, con tutte le argomentazioni che la sostengono, fu portata da chi scrive al Colloque tenutosi a Bruges dal 10 al 12 novembre 1994, in occasione del quinto centenario della morte del pittore, in concomitanza con una bella mostra nel locale Groeninge Museum. L’intervento, che si trova pubblicato negli Atti relativi, trovò ascoltatori incuriositi e benevoli.