Anno 6 - N. 18/ 2007


Il caffè delle Muse

Donne e fiori

di  Francesco Piscitello




Con grande gentilezza fortemente tinta di soavità Maria Luisa Garini, Luli come la chiama il suo sempre sorridente marito, mi accoglie nella sua bella casa della vecchia Vigevano da lei stessa restaurata con grande gusto (Maria Luisa è un architetto), che si trova proprio a ridosso della spettacolare piazza Ducale e dove vive, lavora, dipinge e crea raffinati gioielli.
Di tutte le espressioni della sua creatività, la pittura è quella che maggiormente colpisce. Me, almeno. Ma all’inizio non capisco perché. Non capisco perché questi fiori, queste donne, questi fiori-donna, donne-fiore, mi attraggono ed al tempo stesso mi inquietano, non riesco a individuare la natura, il perché di questa risonanza.
Mentre la conversazione continua - ma non le chiedo della sua pittura e soprattutto evito di porle la più sciocca delle domande (cosa volevi dire?) che si possano porre ad un artista - mi guardo in giro, lascio che lo sguardo si posi qua e là su quei quadri, che si riempia, per così dire, di segno e di colore.
Passa in fretta, il pomeriggio, tra biscotti, tè e chiacchiere. Nel congedarmi Maria Luisa mi regala il catalogo di una delle sue numerose mostre, personali e collettive, italiane e straniere. Più tardi, a casa, nello sfogliarlo, mentre l’occhio è fisso sulle immagini, lascio fluire liberamente il pensiero, di associazione in associazione, in una quieta rêverie nella quale prendono corpo da sole, spontaneamente, idee dapprima nebulose, quasi appannate, ma che pian piano vanno perdendo di vaghezza ed acquistano forma, definizione.
Donne e fiori, come dicevo: il tema pressoché costante della sua produzione. Direttamente associati insieme a comporre immagini nelle quali la donna emerge dal fiore che quasi l’avvolge oppure dove la silhouette femminile solo vagamente accennata appare come in filigrana, quasi un ectoplasma che si accenna soltanto, non più che un suggerimento, un’allusione, come a voler a sottolineare l’enunciato “donna-delicata-come-un-fiore”. Ma se ci si rivolge al fiore, invece, tutta la delicatezza scompare, il colore è caldo e deciso, il segno si fa pieno, con curvilineità sensuali spesso sottolineate, soprattutto nei campi chiari, da linee sottili, parallele come i segni tracciati dal rastrello che va componendo il giardino zen, che accompagnano con compiacimento, quasi accarezzandolo, il profilo sinuoso di foglie e petali. È un vero ossimoro pittorico, la pittura della Garini, apollinea e dionisiaca al tempo stesso, dove il fiore adempie alla duplice funzione di evocare una grazia femminile aerea e lieve e ricordare, con la corposità del segno e del colore, di essere anche - e con lui la donna - la promessa del frutto.