Anno 7 - N. 21/ 2008


LA CITTÀ IDEALE DEL RINASCIMENTO

Dalla città Medievale alla nuova città pianificata e razionale frutto di “una società fatta matura”

Nel Rinascimento questa esigenza di "decoro" congiunta alla retorica del vivere civile, verrà fatta propria da molti Principi…

di Giuliano Tessera



La città ideale (1470) Piero Della Francesca? (Borgo San Sepolcro, 1416 -1492) Urbino, Galleria Nazionale


Usciamo dalla città medievale "cresciuta disordinatamente su se stessa, con gli edifici ammucchiati lungo le strade strette e tortuose" ed entriamo nella "nuova città pianificata secondo un disegno razionale"…frutto di "…una società fatta matura" che "riflette sulle proprie strutture e cerca nella lezione del passato un suggerimento per il futuro, commisurando all'insegnamento della storia esperienza e ragione..". Nasce, col Rinascimento, lo "spazio sistema”, come ben precisa in un suo saggio Giorgio Muratore ("La città rinascimentale. Tipi e modelli attraverso i secoli", Ed. Mazzotta, Milano 1975), sottolineando l'insuperata lezione di E. Garin ("Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano", Bari, Laterza, 1965) che chiaramente individua i temi del passaggio dal "vecchio" al "nuovo mondo".
È il progressivo passaggio dal "mondo del pressappoco" a quello della "precisione" matematico-geometrica, dall'ascetismo medievale all'esaltazione del lavoro umano, radice di vita civile e politica, caratterizzato da un sano attivismo mirato a una concreta utilità delle opere. Sono temi che ritroviamo già nel primo umanesimo di ambiente fiorentino in Poggio Braciolini e Giannozzo Manetti, autore quest'ultimo di un'opera che è tutto un programma: "De dignitate et excellentia hominis". La via della sapienza umana, che è ignoranza rispetto all'infinito divino, se supportata dalle immagini della matematica, permette all'uomo di avvicinarsi, sia pur attraverso simboli, a Dio, in cui si realizza la "coincidenza degli opposti": "…man mano che si aumenta il diametro di un cerchio, diminuisce la sua curvatura ed al limite la circonferenza infinita diviene una retta infinita che si identifica con il diametro…". Così ci spiegherà Nicola Cusano.
È l'uomo che, rifacendosi a temi di ispirazione platonica, respingerà il principio di autorità per valorizzare quello del libero esame considerando l'anima, come farà Marsilio Ficino vera "copula del mondo". In tal modo l'universo non potrà più essere considerato come voleva Aristotele una natura inerte, dato che un principio animato lo pervade e "lo tempera dal di dentro". L'universo è animato, concluderà Pico della Mirandola, da una forma razionale, che è numero.
Se le preoccupazioni del Cusano e del Ficino sono sempre però di carattere mistico e cosmologico sarà più tardi, con Leonardo, che la ricerca si rivolgerà verso una comprensione più rigorosa dei fenomeni orientata a un naturalismo matematico-sperimentale dove la meccanica giocherà un ruolo "nobilissimo", mentre le teorizzazioni relative alle funzioni trascendenti dell'anima verranno lasciate "…nella mente delli frati, li quali per ispirazione sanno tutti li segreti!". E Leonardo, come si sa, sarà anche urbanista.
Queste speculazioni teoriche ben presto si trasferiranno a tutte le sfere del sapere umano, all'economia, alla politica alla sfera sociale e culturale, tese alla ricerca e se possibile alla realizzazione di uno Stato perfetto che al suo centro non poteva che avere una "città perfetta", ideale appunto. Il buon governo, in altre parole, poteva essere esercitato unicamente con un felice connubio tra un potere politico corretto e principi urbanistici sorretti da calcoli precisi e rigorosi, basati sull'applicazione dei principi della prospettiva pittorica lineare delineata da Brunelleschi e più tardi definita nel trattato "De pictura", da Leon Battista Alberti.
Nel suo "De Re Aedificatoria", che riprende concetti espressi da Vitruvio in età romana, la città viene concepita come uno spazio da progettare in cui l'uomo, microcosmo al centro del mondo, vive in un armonico contesto urbanistico caratterizzato da una economia e una politica pianificate a tutto vantaggio delle possibilità di affermare pienamente se stesso. Non una sottomissione dell'uomo a una impersonale dispotica autorità politica come si potrebbe sospettare, ma un luogo reale in cui tutte le potenzialità umane possano esplicarsi, come ben simboleggia l'uomo di Vitruvio proiettato in ogni dimensione.
Nel Rinascimento questa esigenza di "decoro" congiunta alla retorica del vivere civile, verrà fatta propria da molti Principi, che la utilizzeranno per realizzare o tentare di dare corpo alle loro "città ideali".
Il primo progetto di città rinascimentale, progettato sulla base di un particolareggiato disegno unitario, è probabilmente Sforzinda, di Antonio di Pietro Averlino (o Averulino) detto il Filarete (colui che ama le virtù), scultore e architetto vissuto tra il 1400 e il 1469.
Dopo varie opere realizzate a Roma, Firenze e Arezzo verrà inviato a Milano da Piero de' Medici alla corte di Francesco Sforza dove lavorerà per la Veneranda Fabbrica del Duomo, alla torre del Castello, all'Ospedale Maggiore e poi al Duomo di Bergamo. Fu contrastato da architetti lombardi, lui fiorentino, tra cui Guiniforte Solari.
Nei 25 libri del suo "Trattato di Architettura", dedicato a Francesco Sforza, delinea il piano della sua città ideale, seguendo le indicazioni dell'Alberti che imponevano "un tracciato preciso e uniforme… eseguito per mezzo di linee ed angoli…".
La città doveva sorgere in un luogo ideale, attraversata da un corso d'acqua, riparata dai venti. I tempi di lavoro, i materiali e le maestranze da utilizzare venivano minuziosamente pianificate e la notevole forza lavoro (dodicimila maestri e ottantaquattromila lavoranti) avrebbe dovuto iniziare l'edificazione solo dopo una attenta analisi astrologica, come volevano i tempi. La pianta stellare, derivata da motivi "cosmici", ma anche difensivi, presentava una schema radiale a forma di stella appunto, generata dall'intersezione di due quadrati ruotati di 45° ed iscritta in un fossato circolare. Nelle otto punte di questa figura venivano poste altrettante torri, negli spigoli posizionate otto porte, dalle quali otto strade portavano direttamente alla piazza centrale rettangolare, circondata da portici che includevano le attività politiche, religiose e commerciali.
Lungo le strade si aprivano otto piazze con mercati specializzati con strade radiali costeggiate da un sistema di canali che formavano un vero e proprio sistema di vie d'acqua per permettere il trasporto delle merci. Questa idea, che verrà ripresa da Leonardo, verrà sicuramente fatta propria anche da Venezia. Il dettaglio però è decisamente interessante: attorno alla piazza centrale (si pensi al monocentrismo di Milano) potevano sorgere il palazzo del governo, la sede del principe, la cattedrale; nelle piazze adiacenti, poi, il comune, la prigione, la dogana, la zecca, il macello, i bagni pubblici, le locande, il lupanare… . Nel centro della piazza sarebbe stata eretta una torre di venti piani, dalla cui cima sarebbe stato possibile osservare tutta la città, compreso l'Ospedale Maggiore.
Come è noto il progetto rimarrà tale e attuato solo in minima parte.
Urbino sarà un terreno fecondo di traduzione in termini architettonici di tutte le più ardite sperimentazioni prospettiche del quattro/cinquecento. Federico da Montefeltro, duca di Urbino dal 1474 al 1482 (anno della sua morte), condottiero al servizio del papa e umanista, trasformerà la piccola cittadella fortificata di stile medievale in un vero e proprio centro urbanistico rinascimentale.
L'epicentro è costituito dal Palazzo Ducale, realizzato da Luciano Laurana, ed è organizzato da un cortile rettangolare geometrico/classico. Ogni elemento del palazzo, dalle colonne con capitelli corinzii, al fregio della trabeazione, al cortile d'onore, trovano un punto di fusione nell'ideale matematico complessivo. Tutti gli artisti interessati a sperimentazioni prospettiche troveranno a Urbino fonte di ispirazione come Alberti, Paolo Uccello, Piero della Francesca, Melozzo da Forlì nonché il matematico Luca Pacioli che facendo pubblicare "De perspectiva pingendi" di Piero e, nei suoi trattati, sostenne il carattere divino delle proporzioni e l'origine matematica della bellezza.
Molti studiosi poi fanno risalire all'ambiente urbinate le famose "tavole della città ideale", tre oli su tavole di pioppo dipinte verso la fine del quattrocento, sulle quali la critica ha a lungo dibattuto in merito alla datazione e alla attribuzione.
L'arcinota tavola di Urbino, in genere attribuita a Piero della Francesca, soprattutto per la sua luminosità, ci presenta un edificio inserito di pianta circolare circondato da un portico a colonne con alla destra una basilica, sede del tribunale poi altri palazzi e abitazioni domestiche fanno pensare a una città quattrocentesca, non dissimile da esempi fiorentini: Una città ideale, insomma.
La tavola di Baltimora, poi, fa ricordare invece Roma: ecco un anfiteatro, un arco trionfale, un battistero. Compaiono figure umane ma si aggiunge anche una fontana che fa ben capire quanto l'acqua sia nel Rinascimento elemento centrale della pianificazione urbana.
La tavola di Berlino, infine, mostra una pavimento a griglia in una piazza dalla quale è possibile scorgere un porto con imbarcazioni. I portici continui che caratterizzano gli edifici diverranno elemento costante in Leonardo.
Queste tavole o pannelli che derivano probabilmente dalle tarsie dello studiolo di Federico da Montefeltro, realizzate secondo i metodi prospettici brunelleschiani, sono testimonianze ineludibili per cogliere lo spirito dei progetti delle città ideali del Rinascimento.
Un significativo esempio di pianificazione di "città ideale" è visibile ancora a Pienza, presso Siena, che è, di fatto, la trasformazione del picco borgo di Corsignano, così voluta dal papa Pio II Piccolomini nel 1459. Chiaro esempio di autocelebrazione del proprio borgo natale.
Qui l'architetto e scultore Bernardo Rossellino poté demolire tutta la parte centrale dell'abitato e edificare un impianto del tutto nuovo basato sulla prospettiva e su una regolarizzazione modulare degli edifici. Le vie secondarie rimasero comunque tortuose e irregolari, come nel medioevo. Così come anche l'Alberti aveva previsto, "città ideale" e "città reale" trovavano un punto di convergenza.
Portiamoci in Friuli Venezia Giulia dove, su progetto di Bonaiuto Lorini, venne edificata, per volontà di Venezia, a partire dal 1593, la città fortezza di Palmanova.
La pianta a schema stellare si presenta con nove bastioni, tre porte, con strade che si dipartono per arrivare sino alla piazza; al contrario, per ragioni difensive, quelle che partono dai baluardi non raggiungono il centro .
Lo schema di Palmanova è regolare e presenta strutture radiali e una perfetta simmetria tra le parti così come era previsto anche dallo studio dei poligoni regolari di Piero della Francesca. Esigenze reali, aspirazioni ideali (di origine platonica) diventano anche qui elementi indispensabili per una "ideale" pianificazione. Palmanova, straordinario esempio di città ideale realizzata, miracolosamente, si salverà dalla distruzione durante le tragiche vicende della prima guerra mondiale, rimanendo, sino ad oggi, quale tangibile esempio di progettazione urbana rinascimentale.


SABBIONETA

È oggi una cittadina di poco più di quattromila abitanti ed è stata dichiarata, con Mantova patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Fu fondata da Vespasiano Gonzaga alla fine del XVI secolo sulle sabbie del Po, nettate, cioè ripulite da una bonifica, nella terra compresa tra il Po appunto e l'Oglio, lungo il tracciato dell'antica via Vitelliana.
Nello schema di espansione di Milano, nel fol. 65v-b del Codice Atlantico, Leonardo, nel proporre la sua ipotesi radio centrica (un modello di città delimitata da due centri concentrici dai quali si dipartono le strade che conducono alle porte), raccomanda di far "…seccare il Naviglio e nettare i canali" porre un argine alla densità edilizia e contrastare la mancanza di igiene emersa durante la peste. La proposta leonardesca era infatti non tanto legata alla "città ideale", ma a quella "reale" mirata al concreto miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. I mezzi economici, l'impossibilità tecnica di trasformare radicalmente Milano, l'impreparazione della popolazione e una certa "immaturità politica dei tempi", resero impossibile la realizzazione di questo progetto.
In un contesto più delimitato, quindi possibile, Vespasiano Gonzaga edificò Sabbioneta, che originariamente doveva essere una Fortezza, con bastioni a cuneo, atti a proteggere la Lombardia spagnola dalle mire espansionistiche dello Stato della Chiesa, di Venezia e dello stesso Ducato di Mantova. Nel 1577 l'imperatore Rodolfo II, riconobbe Sabbioneta come Ducato indipendente. I lavori di abbellimento della nuova città si protrassero sino al 1591, anno della morte di Vespasiano. L'ultimo discendente di Vespasiano, Nicola de Guzmàn, resse la città sino al 1684.
Successivamente passò sotto il governatorato spagnolo, a quello genovese; rientrò nel Ducato di Mantova per passare, sino al 1746, ai Gonzaga di Guastalla, data della loro estinzione. Tra il 1746 e il 1796 fece parte dei domini degli Asburgo d'Austria e, con Napoleone, fece parte della Repubblica Cisalpina. Con la Restaurazione fece parte del Regno Lombardo Veneto finché, nel 1859, dopo la seconda guerra di indipendenza, entrò nello Stato Italiano. L'impianto rinascimentale però, sia pur attraverso tutte queste vicende, rimase pressoché inalterato, per cui tutt'ora, percorrendo le direttrici ortogonali, di origine romana, cardo e decumano, che geometricamente la caratterizzano è possibile immergersi in questa sopravvissuta città ideale e visitare il Palazzo Ducale, il Palazzo Giardino, la Galleria degli Antichi (o Corridor Grande), il Teatro all'Antica, la Sinagoga e così via.
Nella Sala delle Aquile, nel Palazzo Ducale, la Cavalcata, ciò che resta di una serie di statue in legno scolpite nel 1587 da un artista veneto per celebrare le virtù militari dei Gonzaga (andate parzialmente distrutte da incendio), non può non suscitare un senso di soggezione che contrasta con la scritta in lettere capitali "VIVA LA REPUBBLICA", di epoca napoleonica che ha sostituito gli antichi blasoni.