Anno 8 - N. 24/ 2009


La pietra mesmerica e una furba Despina

Il Re gli offrì 10.000 franchi per realizzare una "Clinica" per la diagnosi e la terapia magnetica, nonché un vitalizio di 20.000 della stessa moneta

Così fan tutte, Wolfgang Amadé Mozart sodale Lorenzo Da Ponte

di Giulio Cesare Maggi e Pierfranco Vitale



Il magnetismo animale con la “botte magnetica di Mesmer”

(Anonimo, disegno francese su cartone, 1784)

Londra, Wellcome Library

Despina in veste di finto medico
tocca con un pezzo di calamita la testa ai finti infermi e striscia dolcemente i loro corpi per lungo e canta
Questo è quel pezzo
Di calamita,
Pietra mesmerica,
Ch'ebbe l'origine
Nell'Alemagna
Che poi sì celebre
Là in Francia fu.

Senza voler essere supponenti e pretendere una scontata conoscenza di questa opera di Mozart a livello divulgativo, corre l'obbligo di rinfrescare la memoria, almeno sulla trama del "Così fan troppe" (così apparve il titolo, ameno o patetico, sul manifesto del Politeama di una città non di provincia che annunciava la rappresentazione del capolavoro di Mozart).

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Fiordiligi, dama ferrarese, soprano, Dorabella, sorella di Fiordiligi, soprano, Guglielmo, ufficiale, amante di Fiordiligi, basso, Ferrando, ufficiale, amante di Dorabella, tenore, Despina, cameriera delle due dame, soprano, Don Alfonso, vecchio filosofo, buffo.
I due ufficiali discutono con Don Alfonso, scettico sulla fedeltà delle fidanzate e scommettono una gran festa, spese a carico dei due innamorati, se il vecchio filosofo avrà avuto ragione, dopo le prove che i due giovani dovranno superare, obbedendo in tutto e per tutto ai suoi voleri. Limitatamente, però, nelle ventiquattro ore.
Le due ragazze stanno contemplando in estasi i ritratti dei due signori ufficiali in servizio permanente effettivo allorché appare improvvisamente Don Alfonso che annuncia la partenza per il campo di battaglia dei due giovani.
Bella vita militare - strilla un coro - e Dorabella prova un tragico dolore, forse un po' meno Fiordiligi, comunque entrambe inducono Despina a consolarle: questa invita le padroncine a non fidarsi degli uomini, soprattutto se soldati.
Don Alfonso coinvolge la cameriera nel suo piano e la invita a presentare alle dame due ricchi e baffuti albanesi o valacchi, ovviamente Ferrando e Guglielmo, travestiti, dichiarati innamorati delle belle sorelle. La morale corrente vuole un primo sdegnato rifiuto alle pretese dei due stranieri a cui, con prontezza di spirito, Don Alfonso pone rimedio, cantando le lodi dei due voluttuosi orientali, definendoli amici di vecchia data e di sicuro avvenire.
Ma le ingannate fanciulle resistono ancora, suscitando gioia nei due travestiti, ora allegri ed esultanti. Il vecchio filosofo non demorde. Dice loro di avvelenarsi - per finta, si sa - cosicché i due ragazzotti si accasciano al suolo: intervento del medico, che altri non è che Despina travestita, con la pietra mesmerica ed ecco la soluzione con la pronta guarigione dei due... albanesi.
Una lieve schermaglia tra le due sorelline (Dorabella propenderebbe per l'infedeltà e Fiordiligi non si sa bene cosa voglia), finisce con la decisione di un bel matrimonio delle ferraresi con gli insistenti valacchi, baffuti e ricchi.
Matrimonio falso celebrato dal falso notaio ed ancor altri non è che la intraprendente Despina, con il vecchio filosofo gongolante ma per poco, talché il coro della Bella Vita Militare fa tornare in tempo i due ufficiali nelle loro uniformi pronti a "riamare" le "fedeli"...

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L'impianto della finzione nell'opera citata è una della invenzioni più conclamate sortite dalla genialità sia del compositore sia del librettista: nulla è affidato al caso ma è frutto della valenza del sodalizio Mozart/Da Ponte i quali, forse, non dovettero rendersi completamente conto di quanto e di quale apporto all'arte furono artefici.
Quanto all'ottimo dottor Anton Mesmer, il grande magnetizzatore, enuclearlo limitandosi a considerare il "pezzo di calamita" maneggiato da Despina, potrebbe sembrare alquanto riduttivo: da solo non ci basta.
Anton Mesmer nel rapporto specifico con Mozart lo troviamo nel suo giardino di casa a Vienna, allorché ospita, “Bastien und Bastienne”, Singspiel composto da Amadé fanciullo e lo ritroviamo ora, col personaggio base di Despina travestita colla toga irriverente da finto medico che celebra la portentosa scoperta della Pietra miracolosa.
Nessuno potrà mai svelarci in quale modo e con quale intento Mozart e Da Ponte "commissionati" da Giuseppe II di allestire "Così fan tutte" ovvero “La Scuola degli Amanti” si saranno accinti a vergare rime e note, se con ironia o ricordi o sentimenti punteggiati da dubbi, da scetticismo e da venature di invidie non confessate nei confronti del discusso medico.
Nelle more, al compagno di viaggio di questa escursione che veste il camice dell'autentico medico, è affidato senza altro indugio il "magnetismo terapeutico" in ogni suo aspetto conosciuto fino ad ora, scientifico o altro che sia.
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Leopold Mozart, venuto a conoscenza che verso la fine del 1767 si sarebbero celebrate in Vienna le nozze tra l'Arciduchessa Maria Josepha di Asburgo e Re Ferdinando di Napoli, ritenne fosse giunto il momento opportuno per trasferirsi con la famiglia nella Capitale del Sacro Romano Impero: la situazione a Salisburgo, per quanto riguardava la carriera di Wolfgang Amadé, gli sembrava ormai giunta ad un punto morto.
I Mozart giunsero a Vienna verso la metà del mese di settembre di quell'anno. Ma la situazione non sembrava corrispondere ai disegni di Leopold. Wolfgang riuscì a dare qualche concerto in case nobili, presso il Principe Galitzin, ambasciatore dello Zar di tutte le Russie, e di alcuni ricchi borghesi, tra i quali il dottor Mesmer.
Il 5 ottobre l'Arciduchessa venne a morte per vaiolo: non si trattava purtroppo di un caso isolato. L'epidemia fu così grave che, come molti, i Mozart trovarono rifugio a Olmütz, ove i due fratelli, prima Wolfgang e subito dopo Nannerl si ammalarono di una forma non grave della malattia.
Tornati a Vienna nel gennaio del 1768 i Mozart ebbero l'opportunità di essere invitati a Corte con molta simpatia: Giuseppe II commissionò a Wolfgang un'opera buffa "all'italiana" da rappresentarsi entro la fine dell'anno.
A dispetto della lentezza, sicuramente intenzionale, con la quale il librettista faceva giungere a Wolfgang le varie parti del testo de "La Finta semplice" (KV 51), l'opera in tre Atti e 558 pagine di partitura giunse a conclusione nei tempi pattuiti. La musica, in particolare le arie, risultarono molto gradite ai cantanti ed agli orchestrali, da sempre i migliori giudici di una composizione musicale.
L'opera, anche per l'insipienza e la connivenza dell'impresario, certo Affligio, non venne mai rappresentata: alcune parti, soprattutto l'overture, furono eseguite, con successo, in concerti dati da Wolfgang in case private: le provvide "Accademie".
Viene riconosciuta dai musicologi più avveduti la straordinaria capacità del giovanissimo compositore nel penetrare lo spirito dell'opera buffa all'italiana, della quale aveva avuto conoscenza nei soggiorni sia inglese sia francese.
Leopold, al solito e questa volta con qualche ragione, era nervoso a causa del risultato non brillante del suo "miracolo della Natura" e pensava che il lungo soggiorno viennese era costato una cifra veramente notevole che aveva eroso in modo assai sensibile il peculio accumulato durante le esibizioni musicali di Wolfgang in quasi tutta l'Europa.
Certo altra cosa era un "enfant prodige" come esecutore: ora doveva diventare un Autore. All'arrivo a Vienna, prima del soggiorno forzato a Olmütz, i Mozart avevano fatto conoscenza del noto medico dottor Anton Mesmer, una celebrità come ipnotizzatore e terapeuta mediante un metodo personale: di lui si parlerà più avanti.
In quella occasione Wolfgang aveva tenuto nella villa di Mesmer, in Landstraße, un concerto al cembalo. Tra i Mozart e Mesmer si era stabilito un rapporto di viva cordialità: il medico, buon suonatore di violino e cembalo, possedeva una rara glassarmonika che utilizzava anche a scopo terapeutico da vero antesignano della musicoterapia.
Mesmer commissionò a Wolfgang un Singspiel, genere tra il musicale ed il recitativo, allora assai in voga in Austria. Mozart aveva così composto la parte musicale dell'operetta Bastien und Bastienne: lo Singspiel mozartiano (KV 50), si rifaceva, per quanto riguarda il testo ad un intermezzo scritto e musicato nel 1752 da J.-J. Rousseau, dal titolo "Le Devin du Village".
L'intermezzo russoiano, presentato due volte alle Corte di Versailles, fu utilizzato in seguito da W. Gluck, come entracte, secondo la moda dell'epoca. Perciò un testo di tutto rispetto che Wolfgang utilizzò nella libera traduzione in tedesco ad opera di F. W. Weiskern.
Bastien und Bastienne fu scritto da Mozart tra agosto ed ottobre del 1768: secondo T. de Wyzewa e G. de Saint-Foix "la petite pièce a été composée pour être jouée à Vienne dans le jardin d'été" di casa Mesmer. Non è documentato se ciò risponda a realtà o se essa fu rappresentata all'interno della fastosa villa del medico che nel giardino alberato e ricco di siepi di bosso aveva in realtà un teatrino.
Bastien und Bastienne, opera di un Mozart non ancora maturo è tuttavia, pur nella sua brevità, certamente superiore a "La Finta semplice" per freschezza e spontaneità, come sottolinea Wolfgang Hildesheimer nel suo "Mozart".
Il soggiorno viennese di Mozart si chiude con l'esecuzione di una Missa Solemnis della quale è andato irrimediabilmente perduto il manoscritto, eseguita il 7 dicembre 1768, in occasione della consacrazione e prima Messa nella Chiesa dell'orfanotrofio Rennweg, alla presenza della Corte imperiale.
Le gazzette lodarono assai le varie parti della Messa che fu presentata come "l'opera del figliolo del Maestro di Cappella della Corte principesca di Salisburgo". Un mese dopo i Mozart lasciarono Vienna per far ritorno a Salisburgo.
Quasi sicuramente tra le persone presenti alla Messa mozartiana vi era quel dottor Mesmer del quale abbiamo parlato in precedenza, un personaggio del quale Wolfgang non si sarebbe mai scordato e del quale restò amico per tutta la vita.
Anton Franz Mesmer (1734-1815), nato a Iznang (Moos sul lago di Costanza), in territorio tedesco, dopo aver frequentato studi di teologia all'Università gesuitica di Dillingen, si era laureato a Vienna nel 1759 in Medicina e Filosofia, discutendo una originale tesi dal titolo "De Planetarum influxu in corpus humanum": il testo fu pubblicato nel 1766 e suscitò il più grande interesse e non poche perplessità nel mondo scientifico dell'epoca.
Nel 1766 Mesmer si trasferì a Vienna ove ebbe un successo professionale notevolissimo come ipnotizzatore e terapeuta impiegando un metodo originale detto di "magnetizzazione". Un ricco matrimonio e gli emolumenti della attività professionale gli consentirono di acquistare in Landstraße una splendida villa con un grande giardino, ove il medico "alla moda" riceveva la nobiltà, la ricca borghesia e gli intellettuali viennesi.
La sua straordinaria attività professionale a Vienna durò una decina d'anni: nel 1778 a causa di un grave scandalo che coinvolse una giovane fanciulla non vedente, in cura presso il suo "gabinetto di magnetizzazione", Mesmer fu costretto a riparare a Parigi.
Qui gli inizi della sua attività non furono certo facili: pur godendo della protezione di Luigi XVl, egli fu sottoposto al giudizio della Facoltà di Medicina e della Accademia delle Scienze della quale facevano parte Lavoisier e Franklin, lo scienziato americano che rappresentava il Presidente Washington alla Corte di Versailles.
Malgrado il giudizio negativo delle commissioni, sia il Re sia i nobili ed anche il popolo erano a favore di Mesmer che poté così riprendere la propria attività di "magnetizzatore". Il Re gli offrì 10.000 franchi per realizzare una "Clinica" per la diagnosi e la terapia magnetica, nonché un vitalizio di 20.000 della stessa moneta.
In realtà, a parte i pareri dei Cattedratici medici di Parigi, in quel periodo di tempo l'indirizzo teorico e filosofico relativo alle funzioni fisiologiche ed alle alterazioni di quest'ultime, cioè la malattia, stavano subendo una evoluzione di grande portata, nella quale la teoria mesmeriana poteva trovare e trovò una collocazione significativa e accettabile.
Il movimento culturale medico della seconda metà del '700 ebbe tra i più importanti teorici John Brown (1738-1788), allievo del Cullen e fautore di un indirizzo innovativo nel campo fisiologico, patologico e curativo. Egli teorizzò che la vita nella sua essenza non è una stato naturale e spontaneo, ma è costituita e mantenuta da continui stimoli: per conseguenza la terapia necessita di farmaci capaci di agire su questa condizione detta di "stimolo" attraverso adeguati "controstimoli".
Brown aveva individuato nel laudano di Paracelso, la tintura di oppio cui Sydenham nel '600 aveva aggiunto lo zafferano (tintura di oppio crocata), un medicamento dotato di un effetto "stenico" e non "rilassante" come fino allora considerato.
Pressoché nello stesso periodo di tempo si diffondeva il "mesmerismo" la dottrina basata sull'esistenza del magnetismo animale e del "fluido magnetico" ad esso correlato. Secondo Mesmer il magnetismo animale, questo sottile fluido fisico diffuso universalmente occupando tutti gli spazi, costituisce il vero collegamento tra i singoli individui, perciò anche attraverso l'uomo, tra Terra e corpi celesti.
Quando si stabilisce uno stato di carenza del fluido magnetico all'interno del corpo umano si realizza una condizione non fisiologica che costituisce lo stato di malattia. Esistono tecniche, quelle introdotte da Mesmer, che consentirebbero di trasmettere la condizione di magnetismo a scopo terapeutico, all'interno del corpo umano.
Ma, dice ancora Mesmer, alcune persone, i magnetizzatori, possiedono naturalmente questa capacità di trasmettere, attraverso le proprie mani, il fluido a chi, possedendone poco o niente, è caduto nello stato di malattia. "Ne scaturiva una teoria semplice - scrive Stefano Poggi - la definizione di un quadro semplice e coerente ad un tempo, dell'insieme delle funzioni del vivente sul quale basare un sistema terapeutico".
In realtà non era ai magneti come tali - affermava Mesmer - che andava attribuito il successo terapeutico, ma al fatto che il magnete è solamente il conduttore di una "forza", meglio di un "fluido" diffuso per tutto l'Universo e che in quanto tale, condiziona sia i rapporti tra i vari corpi sia la loro costituzione specifica.
A Parigi Mesmer ebbe tra i propri pazienti personaggi quali La Fayette, aristocratici, uomini di cultura, politici, ma anche gente del popolo, guadagnandosi larga fama, in buona misura in virtù della propria capacità di intuizione psicologica.
Lo scrittore Stefan Zweig (L'Anima che guarisce. Verona, Mondadori 1931) ha studiato con attenzione la personalità di questo medico di straordinaria cultura, ma soprattutto di un fascino assolutamente irresistibile. Mesmer riceveva i pazienti nella splendida sede dell'Hotel Bullion in un ampio salone, al centro del quale era posta una grande tinozza piena d'acqua alla quale veniva aggiunto acido solforico diluito.
Dalla tinozza partiva una serie di sbarre di ferro che potevano ruotare in tutte le direzioni. La parte terminale di ciascuna sbarra consisteva in un anello di ferro che veniva attaccato al corpo di ciascuno dei "magnetizzandi". I soggetti da trattare, posti in cerchio intorno alla "botte magica", si tenevano per mano, formando così una catena, forse un ricordo della "catena d'unione" che il massone Mesmer aveva visto e praticato in qualche Loggia viennese.
In un gioco di luci e di profumi, certo parte importante della induzione psicologica alla seduta vera e propria, Mesmer si avvicinava a ciascun soggetto, già esaminato in precedenza dal punto di vista clinico, praticando vari toccamenti di alcune parti del corpo e sussurrando all'orecchio del soggetto, in stato di semitrance, le parole che, non vi è dubbio, ciascuno si attendeva di sentirsi dire.
Del resto molte delle parti della cerimonia erano state descritte da Mesmer nel suo "Mémoires sur la découverte du magnétisme animal" del 1779: ma certo non bastava seguire le "istruzioni" per diventare un Mesmer…
I contatti di Mesmer con il mondo dei philosophes francesi, uomini di alta cultura e di elevate visioni morali, lo condussero nel 1783 a fondare l'Ordre de l'Harmonie Universelle, i cui princîpi si ispiravano alla universalità della saggezza e miravano alla realizzazione politico-sociale di quella Harmonia Mundi che risaliva ai concetti dell'esoterismo medioevale e che ora trovano accoglienza in un disegno di ampio respiro, in un contesto di elevato moralismo. L'anno successivo Mesmer fu costretto a lasciare Parigi: dopo un breve soggiorno in Inghilterra si ritirò in Svizzera, a Frauenfeld, ove esercitò la medicina tradizionale fino al 1815, anno della morte. Il suo amico Wolfgang Amadé Mozart lo aveva preceduto di ben cinque lustri...
Se Mesmer fu dimenticato, non lo fu il suo metodo: come scrive lo storico della Medicina Arturo Castiglioni: "Sorsero dovunque magnetizzatori di ogni specie. Alcuni, che furono certamente i meno, cercarono di dare alla nuova teoria la sanzione scientifica con l'aiuto della Filosofia che in quel tempo cominciava particolarmente in Germania ed in Inghilterra le sue prime manifestazioni; gli altri, che furono la gran folla di avventurieri e di ciarlatani, tra i quali basta nominare il più celebre, Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, compresero l'enorme campo di azione che si offriva a uomini intelligenti e senza scrupoli, giungendo a parlare di "polarità delle sensazioni".
Per di più la teoria del "fluido magnetico" sembrava idonea a spiegare anche i fenomeni del "vitalismo" e quindi dei processi fisiologici meglio di quanto non proponesse quella browniana sopra ricordata.
Va quindi riconosciuto a Mesmer, questo medico dotto, intelligente, sensibile esploratore dell'animo umano, in particolare di quello del malato, il merito di aver per primo intuito i l’importanza della psicoterapia, anche quella di gruppo.
Come si è detto l'incontro tra Mesmer e Mozart avvenne a Vienna: successivamente essi non ebbero più modo di incontrarsi. Comunque Amadé restò legato in amicizia con Anton per tutta la vita, tenendo con lui occasionale corrispondenza.
Amicizia a dir poco: dai sentimenti personali ai valori preponderanti degli aspetti culturali trasfusi nelle analisi del tempo - non dimentichiamoci di essere nel virulento Illuminismo - il passo fu breve e non ci può sfuggire come dall'ombra del "buffo" emergesse il "serio" (non il serioso).
Ci allieta, da appassionati quali siamo all'arte ed al quotidiano del nostro amatissimo Wolfgang Amadé - da vegliardi lo amiamo come un figlio geniale rimasto eternamente giovane - il conoscere e far conoscere in quest'occasione, tutto quello che riguarda i rapporti diretti ed indiretti tra il Nostro e l’incredibile dottor Anton Mesmer.

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In casa di Mesmer, Wolfgang dodicenne ascoltò per la prima volta il suono straordinariamente puro di uno straordinario strumento. Fu questo il primo anello-suggello per l'immaginifico matrimonio d'amore di Anton Mesmer con Amadé Mozart: ecco la glassarmonika, figlia naturale di Richard Puckeridge e Benjamin Franklin, anno di nascita 1743 o 1761? (così è) portata alla ribalta con diversa finalità sia dal medico sia dal compositore.
Il curioso strumento trovò una sua sistemazione nelle spirali ipnotico-terapeutiche dell'intrepido dottore viennese, in tal caso antesignano nelle cure della psiche umana con la musica, naturalmente con un metodo invero rivoluzionario suggerito dalla geniale invenzione: vetro, acqua, dita a disposizione del pentagramma.
Gli effetti pratici della cura non certo assimilabile a quella delle acque o a noti e meno noti farmaci, furono demandati ad un successivo giudizio ancora sospeso tra efficace o semplicemente "placebo". Fatto sta che in ogni caso la sua funzione viene tuttora riconosciuta dagli estimatori della “glass”: sottovoce.
Lo strumento fu impiegato nella letteratura musicale di un certo spessore: ci limitiamo a ricordare, con un piccolo sforzo compiaciuto: il Largo di J. A. P. Schulz (1747-1800); il Rondeau di J. F. Reichardt (1752-1814): la Sonata lll di J. G. Naumann (1741-1801); il Melodram con voce di L. van Beethoven; il Trionfo della musica, cantata (invero notevole) di D. A. von Apel (1754-1832); la Kleine Tonstücke di K. L. Röllig (1754-1804); la "scena della pazzia" dal II atto della Lucia di Lammermoor del nostro G. Donizetti ed infine i seguenti compositori dell'età contemporanea J. J. S. von Holt Sombach (1962) e Thomas Bloch (1962) con loro brani rispettivamente un Adagio, una Suite ed una pregnante Sancta Maria.
Con un sentimento ormai definitivo nel DNA dei mozartiani, oltre alla coppia KV 616a e KV 617, serie di testa della nostra glass, portiamo al compiacimento globale per i nostri "bicchieri rotanti e melodiosi" una breve antologia di interpretazioni su musica di Wolfgang assemblata da Michiko Takahashi con l'Ensemble of Tokyo di Hiroshi Aoshima, direttore e cembalista, che troviamo in elenco di seguito.


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Ma sicuramente il ricordo più vivo e meglio esplicitato dell'amico dottor Mesmer, Mozart lo vive nel personaggio straordinario di Despina del “Così fan tutte”, la cui prima rappresentazione ebbe luogo sulla ribalta del Burgtheater in Vienna il 26 gennaio 1790.
Despina. Perché Despina? E non Serpina o Mirandolina di buon sapore goldoniano?
Despina è stato il nome aleggiante nell'aria affollata di desideri di “sapere” da parte di Lorenzo Da Ponte calato in un brodo di cultura della classicità greco-romana ben viva nella Magna Grecia: Nea Polis - Nauplia - Napoli.
Altrimenti come si spiegherebbe "Despina" dal greco antico (déspoina) ossia "Signora della Casa"? Ed infatti quale deliziosa sorpresa partendo dalla presunta condizione della cameriera che prepara il "cioccolatte" (recitativo terzo scena) all'avvertimento alle due garzoncelle Fiordiligi e Dorabella sulla natura maschile (12 aria "in uomini, in soldati sperar fedeltà?") ed all'immediato incontro/scontro con l'aerostato Don Alfonso sistemato puntualmente e per bene dalla bella Despinetta (13 sestetto di tutti i personaggi)?
Man mano la figura di Despina assume non solo i contorni ma la sostanza della situazione di questo "Così…", con un crescendo rossiniano ante-litteram che troverà la apoteosi nella finzione di medico:

Questo è quel pezzo
Di calamita,
Pietra mesmerica,
Ch'ebbe l'origine
Nell'Alemagna
Che poi sì celebre
Là in Francia fu.

Precisiamo che fu lo stesso Amadé a far inserire al librettista Da Ponte il riferimento alle virtù taumaturgiche di quel Franz Anton, ricordato, anche se con un tenero buffetto di divertito colore, per la simpatia e la considerazione intercorse tra loro nel 1768 nella Vienna di Maria Teresa d'Asburgo.

Don Alfonso
'Eccovi il medico, signore belle

Ferrando Guglielmo
'Despina in maschera, che trista pelle!

Despina
Salvete amabiles bones puelles

E con il rincaro della dose Despina padroneggia con la conoscenza del greco e l'arabo, il turco e il vandalo, lo svevo e il tartaro e conclude con una diagnosi del malore che ha colto i due ragazzotti, come Despina li deride dentro di sé, allorché appare con la Calamita mesmerica .
Una Despina non solo dotata di nozioni classiche e cliniche, pur maccheroniche, ma poi addirittura di sfoggio di un saper burocratico o notarile o chissà qual altra inventiva ingannatrice

Per contratto da me fatto
Si congiunge in matrimonio
Fiordiligi con Sempronio
E con Tizio Dorabella
Sua legittima sorella
Quelle, dame ferraresi
Questi, nobili albanesi
E per dote e contraddote

E concludiamo con la dichiarazione della Signora della Casa, come ha dimostrato di essere, secondo la nostra visione del capolavoro mozartiano:

Io non so se veglio o sogno
Mi confondo, mi vergogno
Manco mal, se a me l'han fatta
Ch'a molt'altri anch'io la fo.

In un bisbiglio appena percettibile riservato ai sognatori incalliti di un Amadé oltranzista, conduciamo chi vuol strabiliarsi, al quartetto della seconda scena ove Don Alfonso, Ferrando, Guglielmo e Despina stanno districando una matassa aggrovigliata e che è proprio dalla nostra "piccina" extrapolare la chiccosa chicca squisitamente dapontiana:

Per voi la risposta
A loro darò
Quello che è stato è stato
Scordiamci del passato
Rompasi omai quel laccio
Segno di servitù

Del resto non dimentichiamo che l'azione di "Così fan tutte" si "finge" in Napoli.
Grazie, ancora una volta, a Wolfgang Amadé Mozart si compie la buona azione, fra le tante dovute, di riportare alla luce la figura di Franz Anton Mesmer, classe mitteleuropea 1734 e lo scienziato si avvia nell'eterno pulviscolo atmosferico, dove nulla si crea e nulla si distrugge, segnatamente nell'Anno del Signore 1815.

Cara Despina, non potevi sapere come nel tuo futuro le risate al tuo apparire in teatro con una calamita a tracolla si sarebbe radicalmente trasformato e ti preghiamo di volgere il tuo sguardo dall'altra parte. Noi non possiamo farlo. Tu, sì e ti battiamo le mani.
Caro Mesmer, qualche dubbio devi averlo avuto, allorché tra serio e faceto, ti sarai accorto che il "magnetismo", il "fluido", la "polarizzazione" avrebbero potuto sortire l'effetto contrario all'intenzione di soccorrere la gente malata. Non ipotizzavi che la calamita poteva raggiungere proporzioni malevoli?
Caro Balsamo, tra un Ländler ed una cella, un sorriso, anche di sbieco, di soddisfazione per la tua insospettata modernità par giusto concederla al tuo vivace pedigree ben appeso al palmares del pensiero e dell'azione del Cagliostro, ancor presente dal 1787 nell'Albergo Aquila Nera in via Mercerie nella nostra mozartiana Rovereto.
Due dame in bianco passeggiano per le costellazioni celesti modulando ritornelli di cristallo dalla cantata di Johann Wolfgang Goethe "L'Apprendista Stregone", Marianne Davies e Marianne Kirchgässner.
I due Angeli si contrappongono sorridenti all'andatura sempre più incalzante del capolavoro goethiano musicato da Paul Dukas in una dinamica composizione oramai patrimonio popolare.
I due Angeli riprendono la missione celestiale di coniugare spiritualità e affanno quotidiano, nel solo modo con il quale l'Altissimo provvede a conservare nell'animo umano quel valore primigenio che lo vuole simile a Lui.