Anno 8 - N. 24/ 2009


IL MANA E LA MONETA

Il dono, il dono. Ma che cos'è un dono? Milton Friedman: non esistono i pranzi gratis. Il dono infatti non è gratuito. Va ricambiato.

"L'idea che atti individuali di scambio furono all'origine delle istituzioni del commercio, della moneta e perfino del mercato è difficile da sostenere. Di regola il commercio estero precede quello interno, e l'impiego della moneta come mezzo di scambio ebbe origine nella sfera del commercio estero"

di Paolo Brera




"L'idea che atti individuali di scambio furono all'origine delle istituzioni del commercio, della moneta e perfino del mercato è difficile da sostenere. Di regola il commercio estero precede quello interno, e l'impiego della moneta come mezzo di scambio ebbe origine nella sfera del commercio estero"
di Paolo Brera
È nato prima il credito o la moneta? Per strano che possa sembrare, è nato prima il credito. La moneta, inizialmente nella forma di moneta metallica, è venuta millenni più tardi. Per di più, i dischetti di metallo che servivano e tuttora servono come denaro non sono neppure nati a quello scopo precipuo, ma sono arrivati a svolgerlo per effetto di una lunga evoluzione. Ai loro albori, infatti, le monete venivano usate non come intermediari per gli scambi, ma come un tipo particolare di dono.
Il dono, il dono. Ma che cos'è un dono? Ad aprire la strada alla comprensione antropologica del dono è stato Marcel Mauss. Ma la prima cosa che bisogna comprendere del dono è la verità enunciata invece da Milton Friedman: non esistono i pranzi gratis. Il dono infatti non è gratuito. Va restituito. Nelle società molto primitive, questo obbligo di ricambiare i doni è il modo attraverso il quale avviene la circolazione dei beni.
Scrive lo storico dell'economia Karl Polanyi: "L'idea che atti individuali di scambio furono all'origine delle istituzioni del commercio, della moneta e perfino del mercato è difficile da sostenere. Di regola il commercio estero precede quello interno, e l'impiego della moneta come mezzo di scambio ebbe origine nella sfera del commercio estero". Le comunità primitive vivevano le une accanto alle altre senza incontrarsi quasi mai: anzi, per la precisione, cercavano con attenzione di non incontrarsi proprio, perché ogni intrusione nei reciproci territori scatenava feroci scontri. Il guaio era che questi territori non fornivano tutto il necessario per la vita. Ai limiti della sua area quasi ogni comunità si incontrava con altre e scambiava con esse oggetti utili. Per forza di cose, tali scambi non erano sempre un baratto: a volte il prodotto che si desiderava ottenere in cambio di quello prodotto in eccedenza doveva ancora maturare sull'albero. A questo punto subentrava il credito. Una delle tribù consegnava la sua roba, appunto come dono, e aspettava poi che a tempo debito l'altra ricambiasse.
Fra tutti i doni possibili, quello che aiuta a spiegare l'origine della moneta è il dono di un oggetto. Nella Grecia di Omero (studiata sotto l'aspetto antropologico da Louis Gernet) coloro che viaggiavano appartenevano a una categoria speciale e superiore di uomini: pirati, artigiani, commercianti, guerrieri: nei loro viaggi ricevevano ospitalità da altri uomini della loro stessa levatura e offrivano doni che sarebbero stati ricambiati alla prima occasione.
Che cosa sono allora questi doni? Per prima cosa, non sono oggetti comuni né cibi. Nel periodo omerico e in quello precedente, miceneo, molti beni e in primo luogo quelli alimentari non sono oggetto di scambio: chi è parte della comunità, fosse pure come schiavo, ha diritto al cibo e alle cose fondamentali quali le calzature, i vestiti, la legna da ardere. Ha diritto ad essi allo stesso modo in cui ha il dovere di lavorare per la comunità, cioè in quanto membro riconosciuto di essa. Ciò che riceve non ha un rapporto immediato con ciò che dà: in altri termini non è un salario per il lavoro prestato da ciascuno, né si può dire che il lavoro misuri quanto ciascuno poi riceverà. Gli oggetti-dono sono qualcosa di completamente diverso. Solo uomini eccezionali si scambiano veri doni, e i doni stessi sono oggetti d'eccezione: armi, coppe di metallo, gioielli.
La produzione di ciascuno di questi oggetti richiedeva enormi sforzi, enormi rischi ed enormi capacità. Il metallo veniva da molto lontano, in un'epoca in cui i viaggi erano di per sé pericolosi e gli incontri lungo la strada potevano essere mortali. La tecnologia per fondere e lavorare i metalli non era affatto alla portata di tutti: gli artigiani che se ne occupavano era visti come esseri semidivini, dotati di poteri magici, se pure non si tagliava la testa al toro con l'attribuire la fabbricazione degli oggetti direttamente a un dio, come avviene tanto spesso nei poemi di Omero.
I doni dovevano essere ricambiati, ma l'equivalenza fra ciò che è donato e ciò che serve a ricambiare il dono non era precisa. Un tempo infatti mancava il concetto stesso di una equivalenza economica fra oggetti diversi, ognuno dei quali era visto nella sua assoluta e irriducibile individualità. Mancava, del resto, perfino l'idea di una misura precisa, che per l'essenziale è una creazione degli ultimi tre o quattro secoli.
Gli oggetti preziosi incorporavano il mana di chi li aveva prodotti o del proprietario. Il mana è un concetto comune a molte culture primitive, con estese sopravvivenze anche nella società moderna. Mauss l'ha incontrato quando si è messo a studiare le leggi generali della magia. È un'essenza personale, qualcosa che abita un individuo, una forza o un destino che è tipico di un uomo o di una stirpe. Per la legge del contagio (una delle leggi della magia) esso è presente in tutto ciò che fa colui che lo possiede, nei suoi oggetti personali, nelle parti del suo corpo (le unghie o i capelli dei riti voodoo, le reliquie dei santi), negli oggetti che gli appartengono o che fabbrica.
Appunto, gli oggetti. Qui il cerchio si chiude: gli oggetti-dono sono preziosi perché sono costruiti da persone eccezionali e scambiati fra persone eccezionali; ma a loro volta quelle persone sono eccezionali perché producono o scambiano oggetti prestigiosi.
Il mana spiega l'uso dei sigilli, diffusissimo già a Creta: il sigillo del ragionier Achille (Akireu, nome effettivo di un contabile del palazzo di Cnosso nel XIII secolo avanti Cristo), apposto a una tavola d'argilla con i conti, garantisce con il prestigio del suo proprietario la conformità del contenuto della tavola alla legge naturale dell'Universo, la quale fra l'altro dice senza equivoco che i re devono esser ricchi e i contadini bisogna che lavorino onde mantenerli. Ancora oggi i sigilli sono usati largamente al posto della firma in Estremo Oriente - e anche da noi il logo aziendale, che ha in buona misura le stesse implicazioni, trasmette il mana dell'impresa produttrice a ciascuno dei suoi prodotti.
Fra gli oggetti preziosi dell'antichità greca, assunsero abbastanza presto importanza certi piccoli oggetti, a forma di cilindro schiacciato, che venivano fusi in metalli preziosi e sui quali veniva impressa, appunto con una specie di sigillo, una qualche figura. Il dono più prezioso era quello rivolto agli dei, e così nei santuari si accumulavano tesori fatti di oggetti del genere donati - per grazia ricevuta - dai fedeli del dio. Quelli impressi con un medesimo sigillo erano talmente simili l'uno all'altro da far nascere, alla fine, l'idea che fossero intercambiabili. Era sorto un primo concetto di equivalenza.
I greci fecero alla svelta a realizzare l'importanza commerciale di quegli oggettini. "Quando si sviluppò l'aiuto che si danno i vari Paesi per l'importazione dei prodotti carenti e l'esportazione di quelli in eccedenza, l'uso della moneta s'introdusse come una necessità", scrive Aristotele. In tutto il Mediterraneo cominciarono a girare le monete in elettro della Lidia e della Jonia; ben presto le sostituì la civetta argentea di Atene, che valeva quattro dracme. L'elemento mana era molto più importante di quello collegato al metallo nobile di cui erano fatte le monete: ma va da sé che il prestigio della polis attica veniva anche dal fatto che disponeva di tanto argento. Per capire quanto possa contare il mana si può forse citare l'economista russo Ivan Pososhkov, vissuto a cavallo dei secoli XVII e XVIII: "Ciò che fa il valore di un pezzo di moneta non è la materia più o meno preziosa che è stata impiegata per fonderlo, ma la figura del sovrano stampata sul metallo; è la volontà del sovrano, espressa da questa figura, di attribuire a questo pezzo di metallo un'efficacia tale che lo si accetta senza esitare in cambio di cose che hanno nella vita un valore reale. Ed ecco che la sostanza di cui è fatto il pezzo importa poco; se fosse volontà del sovrano attribuire lo stesso valore a un pezzo di cuoio, a un foglio di carta, ciò basterebbe e così sarebbe". Il che è vero, almeno finché il sovrano gode del prestigio necessario. Il prestigio di Madoff era quello che rendeva desiderabili le quote del suo fondo d'investimento.
Ma la vera grande invenzione di Atene in campo monetario non fu la dracma, utilizzata nel commercio internazionale così come prima e dopo di essa lo furono altre monete in metalli preziosi. Atene introdusse nell'uso qualcosa di molto più importante: la moneta divisionale, detta obolo. Dopo quella invenzione i cittadini che partecipavano alla vita pubblica nell'agorà potevano ricevere, per ogni giorno passato in piazza, una piccola somma di denaro. Con quella potevano comprarsi del cibo nelle bancarelle di cui l'agorà era disseminata, e quindi rimanere in città anziché doversene tornare al podere per mandar giù un boccone. "L'agorà era anzitutto un mercato di cibi cotti, non molto differente dai mercati della costa africana della Guinea", scrive Karl Polanyi. In greco moderno, la parola “Agorà” significa appunto "mercato".
L'importanza della moneta divisionale per lo sviluppo della prima democrazia del pianeta è stata, lo possiamo dire, cruciale. E anche quella dei precursori attici di MacDonald's: non per nulla Aristofane, nei Cavalieri, fa recitare la parte del salvatore della Patria proprio a un venditore di loukanika, cioè di prosaiche salsicce. Da mezzo obolo l'una, senape compresa.