Anno 9 - N. 25/ 2010


Da Vitruvio a Leonardo, da Luca Pacioli a Dürer

LE PROPORZIONI DEL CORPO UMANO alla ricerca del canone perfetto

Sostiene Vitruvio che la proporzione dovrebbe anche volgersi in simmetria: così le parti dovrebbero essere belle e collegarsi le une alle altre.

di Giulio Cesare Maggi



Nettuno ed Anfitrite (1516)

Jan Gossaert (Maubeuge, 1478 - Anversa, 1532)

Berlino, Staatliche Museum - Preußsischer Kulturbesitz Gemäldegalerie

Nel suo saggio De l’arte del disegno de’ Greci e sulla bellezza (1767), scritto direttamente in italiano, il celebre archeologo tedesco Johann J. Winckelmenn, attivo in Roma, afferma che l’impossibilità di definire la bellezza nasce “dall’essere ella una cosa superiore al nostro intelletto”. Il concetto, forse meglio la cognizione delle bellezza, si rifanno, come intuizione, alla sua unità e semplicità. In riferimento al corpo umano, del quale qui si parlerà, la sua interezza e le parti che lo compongono “insieme congiunte con armonia e combinate dalla proporzione” costituiscono l’aspetto sostanziale della bellezza stessa, pur se questa non risulta meglio definibile. Sempre nello stesso saggio, in base ai propri studi sulla statuaria romana, in genere copia fedele di quella greca, scoperta nell’Urbe e sino ad allora inedita – dall’Apollo del Belvedere alla Flora, dal Laocoonte all’Antinoo ora ai Musei Capitolini – Winckelmann fa riferimento soprattutto alla bellezza delle parti, in particolare delle estremità “che conferiscono alla figura stessa la sua vivacità, il moto, l’espressione e l’azione”. Queste, e cioè il capo, le mani e i piedi, e naturalmente le loro proporzioni, “sono le parti prime del disegno e anche dell’insegnamento”.
Numerosi sono i dettagli sui quali egli attira l’attenzione dell’artista, ma in lui il problema della proporzionalità è trattato in senso estetico globale, senza alcun riferimento di tipo quantitativo. In realtà la proporzionalità non può essere un mero fatto intuitivo o soggettivo, ma richiede sempre l’ausilio di conoscenze matematiche. Se ne erano fatti ragione già gli Antichi a partire da Ateneo Poliorcere, Melanzio, Demofilo, Euframore sino a Vitruvio (I sec. a.C.) che ne parla nel De Architectura e nel De Statua. Vitruvio fu anche il primo ad introdurre il concetto di proporzione, a significare il coordinamento dei “moduli” nell’insieme dell’opera d’arte: la proporzione ha infatti una valenza non tanto e non solo estetica, ma è anche garanzia della sua pratica realizzazione (E. Panofsky). Sostiene inoltre Vitruvio che la proporzione dovrebbe anche volgersi in simmetria: così le parti dovrebbero essere belle e collegarsi le une alle altre. Questo modello “perfetto” del corpo umano egli rese nel suo famoso “uomo geometrico” detto anche vitruviano, inscrivibile nel cerchio, come è raffigurato in Cesare Cesariano, Di Lucio Vitruvio Pollione De Architectura libri dece traducti de latino in vulgare raffigurati commentati (Como, 1521) nelle celebri ff. XLVIII e XLIX.
Secondo Vitruvio le misure ideali di alcune parti del corpo umano sono le seguenti:
a) Il viso, dall’attaccatura dei capelli al mento, è un decimo della lunghezza totale del corpo;
b) La mano, dal polso all’estremità del dito medio, essa pure un decimo;
c) Il capo, dalla sommità al mento un ottavo;
d) Dalla attaccatura del collo alla sommità del capo, un sesto;
e) La lunghezza dell’arto superiore del braccio, un sesto;
f) L’ampiezza del torace, un quarto, ecc.
Questi dati, analizzati da J. Foatin, sulla base della statuaria greca, furono da questi confermati (Journ. Hellen. Studies, London, XXX, 1914).
Agli Antichi fecero riferimento i Maestri delle botteghe d’arte fiorentine, i quali si resero conto ben presto che i loro insegnamenti erano eminentemente di ordine pratico e che questi avrebbero dovuto essere accompagnati, se non addirittura preceduti dallo studio delle arti liberali, tra queste in particolare disegno, geometria e aritmetica. Era questo il consiglio che Lorenzo Ghiberti (1378-1455) dava ai suoi allievi sia direttamente sia attraverso i Commentari (Carta 49, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze) dei quali circolavano copie manoscritte, e nei quali erano già accenni alla proporzione e persino alla prospettiva. E il richiamo alle arti liberali, quale fondamento della pittura è sottolineato anche da Leon Battista Alberti (1404-1472) con particolare riguardo alla geometria nel De pictura ma pure nei Ludi rerum methematicarum anche se qui il riferimento è più all’architettura che non alla pittura: ma anche qui il consiglio per l’artista in genere di volgersi a studi umanistici e fra questi soprattutto alla geometria, base fondante della prospettiva. Altrettanto specifico è Piero della Francesca (1412-1492) il quale nel De prospectiva pingendi ne riconosce la centralità per una pittura che sia al contempo bella ed esatta rispetto alla realtà delle cose.
Questo nuovo atteggiamento culturale del pittore e, in genere, dell’artista rinascimentale, ne elevò persino lo stato sociale, ed egli non fu più considerato, malgrado la sua manualità, “un vile meccanico” (Argante Ciocci). Ed è lo stesso Luca Pacioli che finirà per candidare la pittura, attraverso la malleveria della prospettiva, tra le arti del Quadrivio, a danno eventuale della musica, concetto cui aderì lo stesso Leonardo.
Ma è proprio Luca Pacioli (?1445-1517) a cui soprattutto si deve, come sottolinea l’epistemologo Argante Ciocci (Luca Pacioli tra Piero della Francesca e Leonardo, Aboca Museum Editore, 2009) “una visione matematica della pittura”, da lui espressa in conversazioni col Mantegna e i fratelli Bellini, sul tema della proporzionalità e della prospettiva già ampiamente presenti in Piero della Francesca, del quale fra’ Luca, ma il dato è controverso, fu uditore in isolate occasioni, ma sincero ed amichevole estimatore. Per certo il tema fu ripreso dal Pacioli con l’allievo e sodale Leonardo da Vinci durante il lungo soggiorno presso la Corte sforzesca, ove il Pacioli era stato chiamato quale insegnante di matematica nelle Scuole Palatine. Nel Codice Madrid II leonardiano troviamo annotati non pochi esempi di applicazione pratica oltre che teoretica ricavati dalle opere pacioliane. Ci riferiamo qui in particolare alla Summa de matemathica, geometria proportione e proportionalità (Venezia, 1494) e al manoscritto (Compendium) De divina proportione (1498, poi edito in Venezia nel 1509), divenuti ben presto due “Bibbie” per gli artisti e studiosi non solo italiani, come ad esempio il tedesco Albercht Dürer.
L’interesse degli studiosi di quell’epoca nei riguardi della proporzionalità e della simmetria fu condizionato, almeno in parte, da una differente lettura degli Antichi: così Francesco di Giorgio Martini e anche Luca Pacioli fanno riferimento soprattutto al De Architectura vitruviano, mentre lo stesso Leon Battista Alberti e Pomponio Gallico, per quanto attiene alle proporzioni del corpo umano, rivolgono la propria attenzione alle opere relative alla statuaria, in particolare al De Statua, esso pure del Vitruvio. Si tratta ovviamente di orientamenti prevalenti, piuttosto che assoluti.
Per contro Leonardo da Vinci e Albrecht Dürer prediligono lo studio matematico delle proporzioni del corpo umano mediante il disegno. È quindi il vivente, nella sua totalità e nelle sue parti, che costituisce la materia di studio di questi due straordinari artisti, nel disegno e successivamente nell’opera pittorica. E per Leonardo fu determinante anche lo studio del cavallo, forse il primo esempio di studi di anatomia comparata.
In entrambi questi artisti, nei loro studi e nelle loro opere si realizza quella che E. Panofsky chiama “antropometria estetica”, alla ricerca del canone perfetto e, per conseguenza, della pittura perfetta.
Di qui in avanti la nostra attenzione sarà focalizzata su questi due uomini di genio, senza trascurare gli apporti di fra’ Luca Pacioli, che, secondo lo studioso ungherese László Tímár (Alberto Durero, Della Simmetria de i Corpi Humani. A cura di László Tímár, Budapest, Gedeon Richter, 1979), oltre che su Leonardo, furono importanti, pur se poco riconosciuti, anche su Dürer.
Gli studi di Leonardo sulle proporzioni del corpo umano, che con ogni verosimiglianza all’inizio erano raccolti in un taccuino databile sulla base di studi calligrafici intorno al 1490 (Pedretti, Keele), sono oggi conservati alla Biblioteca Reale di Windsor. Questo periodo precede quello, durato alcuni anni, dedicato allo studio dello scheletro umano. Vien fatto notare che prima degli studi sullo scheletro Leonardo si era impadronito dell’anatomia e della fisiologia (“l’uso della parti”) dell’apparato locomotore e quindi della funzione dinamica del corpo umano, assai importante per gli studi sulla proporzionalità del medesimo.
In alcuni disegni relativi alla proporzione si trova l’indicazione “el terço”, che è ritenuto il modello che Leonardo utilizzò per tali studi, che quindi si basavano su dati, per così dire, “sperimentali”.
Così nel foglio P/K 27r annota Leonardo “Se uno si inginocchierà, stremerà la quarta parte della sua altezza. Stando l’uomo impiegato ginocchioni, con le mani al petto, l’ombelico è la metà della sua altezza e similmente i gomiti il mezzo dell’uomo che siede, cioè dal sedere alla sommità del capo e sotto la mammella e sotto la spalla. La parte sedente cioè dal sedere a sopra del capo e tanto più che mezzo l’uomo quanto la lunghezza e la grossezza dei testicoli”.
Nel foglio P/K 28r di Windsor sono in miniatura nove profili del viso umano, con un commento che così recita: “Lo spazio ch’è infra il taglio della bocca ed il principio del naso (a-b) è la settima parte del volto. Dalla bocca al disotto del mento (c-d) è la quarta parte del volto, simile alla lunghezza della bocca. Dal mento al principio di sotto del naso (e-f) è la terza parte del volto e simile al naso ed alla fronte. Lo spazio da mezzo del naso al di sotto del mento (g-h) è la metà del volto. Lo spazio dal di sopra del naso, dove principiano le ciglia, al di sotto del mento è i due terzi del volto”. In altri fogli Leonardo studia le proporzioni della gamba, del piede, delle braccia e del tronco, e nel foglio P/K 30r in penna e inchiostro bruno a due tonalità, esso pure dedicato alle proporzioni del corpo si trovano affermazioni quali “la grandezza delle due dita di mezzo della mano, la grandezza della bocca, lo spazio dall’attaccatura dei capelli alla sommità del capo, tutte queste sono simili tra loro…” Esse dimostrano la minuziosità degli studi sulle dimensioni nell’umano da parte di Leonardo.
E nel Trattato della Pittura (Edizioni Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano, 1804) così vien fatto dire a Leonardo nel Cap. CLXXV Della proporzionalità delle membra: “Tutte le parti di qualunque animale siano proporzionali siano corrispondenti al suo tutto cioè che quel che è corto e grosso deve avere ogni membro in se corto e grosso, e quel che è lungo e sottile abbia le membra lunghe e sottili, e il mediocre abbia le membra della medesima mediocrità, e il medesimo intendo aver detto delle piante, le quali non siano strippiate dall’uomo o da venti, perché queste rimettono gioventù sopra vecchiezza, e così è destrutte la sua naturale proporzionalità”.
Della eccellenza di Leonardo nel disegnare la figura umana è prova la celebre sanguigna di nudo maschile di spalle: essa fa pensare che nell’artista la misurazione “ad occhio” e la proporzionalità “matematica” fossero coincidenti naturalmente.
Secondo Karl Jaspers (Lionardo als Philosoph, Bern, Frankel AG Verlag, 1953) “ciò che caratterizza il conoscere di Leonardo è questo: egli è tutto occhio e mano; ciò che per lui è, deve essere visibile, e ciò che egli conosce, deve essere prodotto con la mano”.
Leonardo esalta l’occhio, che inganna meno di ogni senso e questo essere-occhio, secondo Goethe fa si che “poiché Leonardo intendeva la natura immediatamente contemplandola e pensava al fenomeno stesso, egli colse senz’altro nel segno”. E prosegue Goethe: “Come la facoltà di comprendere e la lucidità proprie dell’occhio competono all’intelletto, così chiarezza ed intelligenza erano pienamente convenienti al nostro artista”.
Il giudizio allora corrente circa i pittori quali artigiani viene completamente rovesciato da Leonardo. Ed il pensare non per concetti, ma in significazione di linee, forme e figure è un conoscere contemplativamente attivo: la “operazione manuale” traduce al contempo quanto l’occhio percepisce e senza questo nulla può giungere a compimento
Essenziale perciò la coppia occhi-mano e “soltanto nell’agire pensante” conclude Jasper “il visibile diventa propriamente visibile, ma tutto ciò a condizione che esso si strutturi attraverso la matematica, quella scienza che apprese e perfezionò alquanto con gli insegnamenti di Luca Pacioli sia diretti, sia attraverso la Summa pacioliana”. “… l’atteggiamento fondamentale [di Leonardo] è più che una teoria, un accertamento onnipenetrante della totalità della natura come vita universale”. (Jasper, op. cit.)
Come per ogni regolarità e normalità accessibili all’occhio, nessuna fretta – quella che vorrebbe la gente – si deve applicare nel contesto universale anche allo studio dei dettagli, sia pur minimi, “quale è il corpo umano”.
L’interesse agli studi di proporzionalità del corpo umano del Rinascimento italiano fu largamente condiviso e per certi versi anticipato dal grande incisore, pittore e grafico tedesco Albrecht Dürer (1470-1528) che dedicò a questi studi di “antropometria estetica” molta parte della vita.
Albrecht Dürer nasce infatti, come artista, nella bottega del padre orologiaio, apprendendovi l’arte del bulino e poi, neppure sedicenne, presso Wolgemuth specializzandosi nella xilografia (1486-90): ben presto diviene un rinomato grafico nel campo della nascente arte tipografica (le famose “cinquecentine”). Per altri quattro anni, fino al 1494 è a Basilea, la capitale dell’editoria, lavorando per quegli Editori ed affinando le già eccellenti capacità artistiche. Il primo viaggio in Italia (1494-95), l’incontro a Venezia con Mantegna e con i Bellini, lo pongono a contatto con l’arte pittorica rinascimentale veneziana della quale subisce il fascino e le suggestioni. È certo quest’incontro che gli ispira due opere decisamente “italiane”, il ritratto dell’Elettore di Sassonia, oggi alla Gemaldgalerie di Dresda e la Madonna ora alla National Gallery di Washington. E nel viaggio ebbe anche ispirazioni paesaggistiche come si può riconoscere nel dipinto, oggi all’Ashmolean Museum di Oxford con l’indicazione autografa “Wehlsch Pirg” cioè Montagna italiana. Nella pittura successiva è innegabile, a giudizio dei critici d’arte, anche l’influsso dei fiamminghi, incontrati durante il viaggio che fece dopo la morte del suo protettore Massimiliano I, per offrire i suoi servigi a Carlo V.
Nel suo viaggio in Italia Dürer ebbe modo di far conoscenza di Luca Pacioli e forse seguì per un semestre il suo corso di algebra all’Archiginnasio di Bologna. In quel periodo Pacioli aveva già pubblicato la Summa, presso Nicolini a Venezia (1494).
Anche se storicamente il fatto è poco riconosciuto, soprattutto dagli autori di lingua tedesca, è per contro assai probabile, come sostiene László Tímár nel suo prezioso commento al Della Simmetria, che Dürer, il quale conosceva le opere di Vitruvio, si sia dedicato, anche stimolato dalle opere e dall’insegnamento pacioliano, allo studio delle proporzioni del corpo umano e, per conseguenza, della simmetria delle parti: per certo egli li considerava i requisiti indispensabili della perfezione e quindi della bellezza, nel disegno come nella pittura.
Il problema delle proporzioni del corpo umano trova la sua sintesi nell’opera dureriana “Vier Bücher von menschlicher Proportion” comparso a Norimberga anche in edizione latina, postuma, nel 1528 sei mesi dopo la morte del Maestro, avvenuta il 26 aprile.
L’opera in latino diffusa dal Camerarius e dal Wechel, fu tradotta in francese nel 1557 e nel 1591 pubblicata dal Nicolini a Venezia, tradotta in volgare ad opera dell’astronomo Giovanni Paolo Gallucci col titolo “Della Simmetria de i Corpi Humani”. Quest’ultima edizione fu resa anche in portoghese. Della seconda parte dei Seicento sono le traduzioni in olandese ed in inglese.
Di Dürer il grande riformatore religioso Ph. Melantone scriveva in una lettera del 1547 ad un amico: “Il ricordo di Albrecht Dürer, straordinario uomo di genio e di virtù, vive nella mia memoria: in gioventù ho amato i [suoi] dipinti ricchi di colore e composizioni: da vecchio mi rendo conto di dovermi orientare sulle forme originali della natura poiché la semplicità è l’ornamento principale della forma artistica da preferire”.
Nel citato commento al Della Simmetria de i Corpi Humani, László Tímár scrive “ The Vier Bücher – Della Simmetria is not else but an eternal artistici deal, the culmination of a succesfull live-work. This work is a finishing testament on the theory of art, and experiences. We may recognize in this empirical synthesis the realization of the great Renaissance ideal that the human being is the centre of the universe”.
A questo proposito si deve notare che non pochi critici d’arte, da Wölfflin a Panofsky, da Wätztzold a Einkler a Dvorák sono piuttosto reticenti circa gli studi anatomici di Dürer, che considerano piuttosto tardivi ed influenzati dagli studi anatomici di Vesalio, mentre privilegiano di gran lunga, oltre ben inteso i dipinti, l’opera xilografica e di bulino. Ad esempio della incisione a bulino su rame raffigurante Erasmo da Rottardam (1526) vien fatta notare la profonda penetrazione psicologica e la straordinaria armonia estetica del personaggio, che la rendono persino superiore al celebre ritratto di Hans Holbein il Giovane, quasi coevo.
E qui nuovamente va riconosciuto che nell’espressione dei sentimenti umani Dürer fu sicuramente influenzato dagli artisti italiani ai quale è, almeno in parte, debitore di quella “antropometria estetica”, derivatagli, lo sottolineiamo, dall’incontro con le opere di Luca Pacioli.
Dürer va considerato vero uomo del Rinascimento coevo di Leonardo, Michelangelo, Raffaello, amico del grande anatomo Vesalio attivo a Padova, come pure di Serveto, anche se la storiografia artistica germanica tende a farne quasi esclusivamente un tedesco e, in pittura semmai un artista influenzato dai fiamminghi. Ma su questo ultimo tema, per mancanza di competenza, non crediamo opportuno addentrarci. La sua straordinaria sensibilità ed originalità artistica è stata evidenziata, anche in senso critico, da E. Panofsky negli anni tra 1945- 48 e poi successivamente: di questo Autore particolarmente illuminanti Il significato delle arti visive (trad. it), Torino, Einaudi, 1962; e La vita e l’opera di Albrecht Dürer (trad. it), Milano, Feltrinelli, 1979.
Gli ultimi anni di vita del grande incisore e pittore tedesco, un vero maestro anche nel senso didattico, furono amareggiati dalla malattia. Provato nel fisico e nello spirito aveva eseguito alcuni autoritratti dando di se un’immagine che lo avvicinava ad un Cristo sofferente e presago della propria fine.
Aveva progettato, forse anche per questa sensazione, di scrivere una sorta di monumentale enciclopedia della pittura, destinata al giovane apprendista pittore, dal titolo “Ein Speis der Maalerk knabe”: suo scopo – sosteneva – era quello “di accendere un piccolo fuoco” e, con l’aiuto di tutti gli artisti, questo avrebbe dovuto divenire una gran luce, capace di illuminare tutto il mondo dell’arte. E sostenendo che gli artisti non dovevano apprendere solo l’arte della misura, nel 1525 faceva uscire a Norimberga Underweysung der Messung, mit dem Zirckel und richtscheyt in Linien ebenen und gantzen Corporen durch Albrecht Du¨rer zusammen gezogen und zu Nutz allen Kunstliebhabenden mit zugehörigen Figuren in Trück gebracht, im Jar MDXXV.
In questo manuale egli insegnava all’apprendista l’uso del compasso (zirkel) e del regolo (richscheyt), da utilizzare non solo nello studio del corpo umano ai fini della proporzionalità, ma persino per creare eleganti maiuscole, come già aveva fatto Luca Pacioli, e pur con criteri diversi Leonardo, ad uso dei tipografi ed editori, al fine di ingentilire, con eleganti incipit, le pagine di stampa.
Come osserva Ciocci “Per due argomenti, tuttavia, la matematica degli artisti si distingue da quella abachistica: la teoria delle proporzioni e la prospettiva. Nel corso del Rinascimento l’interesse degli artisti e dei teorici dell’arte per i rapporti matematici tra il corpo e le varie membra di un essere vivente, e in particolare dell’uomo, è piuttosto evidente”. Esempi si trovano in tutti gli Autori innanzi citati ed in particolare in Leon battista Alberti, nel De Statua, nei disegni di Leonardo da Vinci a Windsor e nel Vier Bücher di Albrecht Du¨rer.
In ogni caso si deve sottolineare il fatto che Leonardo e Du¨rer hanno studiato le membra dell’uomo in relazione soprattutto al disegno e pertanto con la pittura. Deve credersi però che tale studio matematico è finalizzato soprattutto alla ricerca della bellezza, il fine ultimo dell’artista rinascimentale: e tale bellezza è il risultato anche di uno studio preliminare delle proporzioni dell’uomo.
Siamo quindi parzialmente distanti da quanto Piero della Francesca sosteneva nella De prospectiva pingendi legato alla prospettiva della “misurazione” che assieme al disegno ed al colore integrano l’opera d’arte. Ma anche per Piero l’occhio umano e la sua collocazione rispetto all’oggetto osservato costituisce un elemento essenziale per la prospettiva e perciò per la realizzazione dell’opera d’arte stessa.
E Luca Pacioli, a proposito delle scienze tradizionali del Quadrivio, ritiene doversi portarle a cinque con l’inclusione della prospettiva o ridurle a tre escludendo la pittura: l’una senza l’altra, con tutte le relative implicazioni matematiche, non possono darsi.
“In ciò il Pacioli – afferma Augusto Marinoni – rappresenta la coscienza del secolo che ha inventato con la Prospettiva una nuova scienza ed ha creato con la Pittura una straordinaria serie di capolavori”.
La “divina proporzione” pacioliana è quindi da ritenersi appropriata, dato che essa presenta “diversi caratteri che appartengono alla Divinità”: si crea così “un accordo con certa irrazionale sinfonia”, di forte ispirazione e richiamo platonici.
In virtù di un’accurata ed intelligente osservazione dell’Uomo e della Natura, fondamentali fonti di insegnamento dell’artista, Du¨rer viene considerato da molti, in particolare da E. Panaofsky, il più fedele interprete delle esperienze vitruviane e, nel caso dello studio del corpo umano, un precursore anche per quel che riguarda le condizioni patologiche fino al grottesco. Nondimeno è doveroso ricordare come in questo particolare campo lo stesso Leonardo si era spinto, oltre allo studio esteriore, persino a quello della patologia dei visceri, quali il fegato, i vasi ed il cuore, fino ad indicare condizioni patologiche attribuite poi ad altri, come nel caso della comunicazione interatriale (G.C. Maggi, The atrial septal defect, Leonardo's anomaly : a (reasonable) hypothesis, in Raccolta Vinciana, 31, pp. 139-143, 2005).
Gli studi pacioliani, le opere di Leonardo e di Du¨rer, oltre a quelle degli Antichi e di Piero della Francesca, basate su criteri matematici e che pertanto includono la prospettiva e la pittura tra le scienze che riconoscono la possibilità di un canone perfetto, lasciano comunque a ciascun artista di quel periodo storico, il Cinquecento, la propria autonomia espressiva, volta a realizzare al meglio il canone della bellezza vissuto ed esplicitato con libertà di spirito e di modi espressivi.