Anno 9 - N. 26/ 2010


Storia e Arte

ARMENIA Il lontano affascinante paese della porpora, dai mille monasteri e dalle mille croci di pietra.

Compiere un viaggio in Armenia è come ripercorrere la storia del mondo…

di Maria Giuseppina Malfatti Angelantoni



La chiesa di Khor Virap

Complesso monasteriale dal secolo VII


Il color porpora con tutte le sue gradazioni, dal rosato dell’albicocca al vermiglio della melagrana, si fonde in Armenia col mito stesso delle origini nell’Inno di Vahagn, una divinità amata dall’antico popolo di quel lontano Paese. Ma il rosso, oltre ad essere un elemento primordiale dalle molteplici valenze mitiche, era anche un prodotto che in Armenia si otteneva dalla cocciniglia e dalla robbia.
Con questo colore si tingevano tessuti e tappeti preziosi e molto ricercati fin dall’antichità in tutti i Paesi, anche i più lontani, dove venivano esportati grazie alle grandi carovaniere che attraversavano l’Armenia.
Il rosso armeno, sotto il nome di “bolo armeno”, fu anche protagonista nel campo dell’arte, essendo usato nelle miniature e nei grandi dipinti sia in Oriente che in Europa fino al Rinascimento.
L’Armenia era universalmente connotata in antico come il Paese della Porpora.
Compiere un viaggio in Armenia è come ripercorrere la storia del mondo: dalle impressionanti immagini di canyon profondi e tormentati fra le montagne, alle vedute pastorali di vallate nascoste fra le pieghe di dolci colline, alle sorprendenti pareti di colonne basaltiche di antiche eruzioni vulcaniche, appare violentemente la testimonianza delle trasformazioni e dello stravolgimento del nostro pianeta nelle più antiche età geologiche. Questa terra, posta all’incrocio di antichissime vie di comunicazione fra Oriente e Occidente, si presenta nella storia fin dai tempi biblici: in Armenia viene posto il Giardino dell’Eden e sul Monte Ararat viene identificato il luogo in cui si fermò l’Arca di Noè.
Il montuoso territorio armeno a ridosso del Caucaso può a ragione essere chiamato la “culla dell’umanità”, qui troviamo la prova delle prime conquiste del genere umano e del formarsi delle civiltà che in successive ondate migratorie giunsero in Occidente fin dalla preistoria, come ci insegna, sorprendendoci, una visita al Museo Statale di Storia Armena di Erevan. Gli Armeni, incrocio di elementi indo-europei ed asiatici, sono documentati al tempo degli imperi mesopotamici come i fondatori del grande regno di Urartù, che si estendeva anche su territori che ora fanno parte di Paesi confinanti: Turchia, Iran, Azerbaigian.
Questo regno crollò nel VII secolo a. C., in seguito gran parte dell’Armenia venne assoggettata dai Persiani Achemenidi e la loro lunga dominazione, che durerà fino alle conquiste di Alessandro Magno, lascerà una traccia profonda nella cultura e nella lingua armena. Nell’età ellenistica il Paese fu diviso in Armenia Maggiore, a oriente dell’Eufrate, e Armenia Minore, la più ellenizzata, a ovest e a nord dello stesso fiume. Quando fra il II e il I secolo a.C. in questa parte dell’Asia giunsero le legioni romane, i rapporti fra Roma e l’Armenia iniziarono nell’ambito delle guerre pontiche contro Mitridate. L’incontro fra l’Armenia e Roma però, più stretto e affascinante, con conseguenze insospettate anche nel campo dell’arte, avvenne al tempo di Nerone, nell’anno 66, con l’incoronazione a Roma del re dell’Armenia Tiridate I: mentre veniva riconosciuto Signore del regno asiatico, questo Sovrano riuscì ad “iniziare” l’Imperatore romano al culto e ai riti orientali del Mazdeismo, l’antichissima religione iranica, di cui egli era sacerdote.
Le vicende storiche dell’Armenia, dopo la caduta di Roma, rimasero strettamente legate a quelle dell’impero bizantino, addirittura alcuni imperatori di Bisanzio furono armeni o di origine armena; all’Armenia però rimase sempre una certa autonomia dovuta in particolare alla sua antica scelta religiosa. Questo Paese era stato il primo al mondo nel 301 ad eleggere il Cristianesimo come religione di Stato, grazie alla conversione del re Tiridate III operata da San Gregorio Illuminatore.
Nel Cristianesimo accolto dagli Armeni non fu accettata la condanna emessa dal Concilio di Calcedonia del 451 nei confronti della dottrina di Nestorio, il monofisismo, che privilegiava in Cristo la natura divina. La loro professione di fede permise agli Armeni di differenziarsi dai potenti vicini: i Romani, compresi i Bizantini che poi diverranno ortodossi, i Persiani, zoroastriani e poi musulmani, e i Turchi, riuscendo comunque a mantenere buoni rapporti con la chiesa di Roma. E proprio il tenace attaccamento alla sua fede ha fatto dell’Armenia una nazione dalle grandi tradizioni e valori che si sono perpetuati nel tempo; la sua arte, che si manifesta soprattutto attraverso l’architettura, è testimonianza di questa fede, resa visibile dalle centinaia e centinaia di monasteri e di chiese che punteggiano tutto il territorio armeno, e dalle migliaia di croci di pietra, i Khatchkar.
Insieme alla religione elemento fondante della civiltà armena fu la lingua, forgiata dal colto monaco Mesrop Mashtots che nel 405 tradusse la Bibbia dal greco in armeno “integre et fideliter”, coadiuvato dalla sua scuola, detta dei Primi Traduttori.
Per l’Armenia si aprì un importantissimo capitolo al tempo delle Crociate, allorché i Principi cristiani d’Occidente, per liberare il Santo Sepolcro a Gerusalemme, attraversarono l’Anatolia dove, per una politica di decentramento, l’impero bizantino aveva inviato grandi famiglie armene che vi avevano posto le basi per i loro principati e per il grande Regno Armeno di Cilicia, sulle coste del Mediterraneo. Lontano fondatore di questo regno era stato nel 1080 il principe Ruben, di nobilissima famiglia armena, ma il primo re fu Leone I il Magnifico, che nel 1198 venne incoronato dai rappresentanti del Papa e dell’imperatore di Germania. Il Regno di Cilicia, che fu di grande supporto agli Stati crociati, durò fino al 1375, allorché venne conquistato dai Mamelucchi. I sovrani armeni di Cilicia ebbero contatti oltre che con il Papa e gli imperatori tedeschi, con i re di Francia e d’Inghilterra e con le potenti Repubbliche Marinare italiane anche perché, al di là del rapporto di natura militare, in verità non sempre pacifico fra Armeni e Crociati, esistevano proficui scambi mercantili con l’Europa. I porti armeni del Mediterraneo, come i grandi snodi stradali in Armenia, erano tappe dell’importantissima Via della Seta che permetteva il ricco commercio con l’Oriente. Il rapporto stretto fra Armeni e Crociati fu determinato anche dai matrimoni fra principesse armene e sovrani e principi d’Outremer, ai quali queste spose portarono in dote la loro raffinata cultura. Molti cambiamenti avvennero in Armenia e in Occidente sia nell’arte che nei costumi per gli scambi che vi erano ad ogni livello, da quello culturale e religioso a quello tecnologico, come già era accaduto all’inizio delle Crociate fra la civiltà europea e l’islamica. I Paesi europei in particolare si arricchirono, soprattutto nel campo dell’architettura militare e religiosa, di soluzioni e stilemi che furono adottati e mirabilmente impiegati nelle cattedrali e negli edifici romanici e gotici, elementi spesso genericamente definiti orientali.
Caduto il regno di Cilicia e conquistata poi Costantinopoli dagli Ottomani nel 1453, l’Armenia si trovò a poco a poco sempre più assediata da Turchi e Persiani che si impossessarono di gran parte dei suoi territori. Nel 1828, ciò che restava del passato grande regno d’Armenia, fu occupato dai Russi, primi zaristi poi sovietici, e sotto di loro rimase fino al 1991.
Questa occupazione servì almeno a salvare il territorio russo d’Armenia dal mostruoso genocidio del popolo armeno perpetrato fra il 1915 e il 1923 dai Giovani Turchi di Atatürk, un genocidio che vide la morte di più di un milione e mezzo di Armeni, vittime di ogni violenza, portati a morire di fame e di stenti nel deserto della Siria. Un monumento per non dimenticare, eretto a Erevan nel 1967, domina la città dalla collina delle Rondini.
Per motivi storici e politici l’Armenia è rimasta negli ultimi secoli isolata e trascurata dagli studiosi occidentali anche per quello che riguarda la sua arte. Il recupero negli studi è avvenuto lentamente a partire dai primi anni del ‘900 quando si cominciò ad indagare sull’architettura armena e si arrivò a porre il dilemma se l’arte europea altomedioevale e medioevale non fosse derivata dall’Oriente, mediata dall’Armenia, piuttosto che dall’arte romana.
Oggi - anche se alcuni storici dell’arte continuano a porre l’arte armena all’origine del romanico in Europa - si sostiene piuttosto che nell’architettura armena furono assunte forme romane e bizantine reinterpretate però con originalità e con lo spirito di un popolo che volle sempre affermare fortemente la propria identità e la propria fede.
La forma d’arte dominante in Armenia è l’architettura forse perchè più consona allo “spirito del luogo”: le costruzioni, sempre di grande suggestione, sono quasi riproduzione della natura circostante, le chiese sono come montagne e racchiudono in sé il senso del divino attraverso forme pensate matematicamente e realizzate con la fusione di elementi naturalistici e simbolici. Chiese, cappelle, monasteri nelle vallate, sulle montagne, sulle colline, in grotte, presso gole e dirupi, o nelle città, integri o ridotti a ruderi, coprono e caratterizzano il paesaggio armeno segnandolo di sacralità. Spesso straordinarie sculture abbelliscono questi edifici sia con un linguaggio naturalistico che sottilmente esoterico.

Le prime chiese armene appaiono affini alle basiliche paleocristiane siriane, ma solo apparentemente in quanto ne sono concettualmente e funzionalmente molto diverse. Sono anche diverse da quelle bizantine, il mondo armeno è lontano dalle speculazioni teologico-filosofiche greche, è maggiormente permeato di fede/sentimento e i suoi edifici sacri, con la chiara centralità presso il luogo del rito, esposto ai fedeli, corrispondono alle sue esigenze. Nelle chiese armene non esiste, fin dalle origini, l’edificio del battistero; il fonte battesimale, interrato per il battesimo per immersione, è molto simile a quelli bizantini del Nord Africa che potrebbero averne assunto la tipologia.
La chiesa più importante per il Cristianesimo armeno è la Mayr Tachar, la Chiesa Madre a Echmiadzin, denominazione che significa “Qui è disceso l’Unigenito”. Questo complesso patriarcale è il luogo simbolo della conversione al Cristianesimo del popolo armeno e della sua forte fede. Qui a Eschmiadzin risiede il Katholikos dell’Armenia, la massima autorità religiosa del Paese.
La cattedrale Mayr Tachar venne edificata al tempo della conversione in forma basilicale sopra un sacello dell’antica religione iranica, allora professata dagli Armeni, dedicato al culto del Fuoco. Nel V secolo sull’antica chiesa venne costruita l’attuale, a pianta centrale - a croce greca - alla quale nel VII secolo fu aggiunta una cupola all’incrocio dei bracci, sostenuta da quattro massicci pilastri, con uno spazio interno molto contratto sviluppato in altezza. All’esterno le masse sono molto articolate per sovrapposizioni realizzate in epoche successive: il tiburio, la torre campanaria e le torricelle “a vento”, che sembrano citazione dell’architettura indiana.
Molto interessante, non lontano da Echmiadzin, è la cattedrale Zvartnots, cioè “Degli Angeli del Cielo”, del VII secolo. È a pianta centrale, quadriconca (con gli angoli allargati da esedre) simile a quella della basilica di San Lorenzo a Milano del IV secolo. Questa chiesa, distrutta da un terremoto nel 930, è l’edificio maggiormente influenzato dall’architettura romana e bizantina; in grosse pietre laviche scure, si elevava forse per tre piani. La tecnica costruttiva romana, a insacco, e la presenza di porticati aerei, ne fecero una costruzione debole che nel tempo non poté resistere ai terremoti. Le suggestive rovine, le colonne con i capitelli elaborati e i molti frammenti decorativi testimoniano la bellezza e la ricchezza della chiesa che, nelle scelte estetiche, univa decoro e funzionalità liturgica a forti componenti simboliche.
Originale armena è la tipologia della chiesa con pianta a quadriconco inscritto in un rettangolo, con quattro camere angolari collegate alla parte centrale, coperta da cupola, mediante vani a pianta oltresemicircolare, terminanti con pennacchi, una soluzione architettonica questa che comparirà nell’arte romanica occidentale.
Un bell’esempio è dato dalla chiesa di Santa Hripsimé del VI - VII secolo, anch’essa presso Echmiadzin, dal verticalismo audace e dalla grande semplicità dell’involucro esterno. Lo spazio interno contratto e la luce spiovente dall’alto generano effetti di grande suggestione aumentati dall’innalzamento della zona absidale, quasi un palco, sul quale si trova l’altare.
Questa soluzione è presente nella maggior parte delle chiese a pianta centrale nelle quali accentua la ieraticità della celebrazione eucaristica. Frequente nelle chiese armene, come in questa, è il contrasto fra la semplicità esterna e la ricca articolazione interna, in una sorta di voluto ermetismo architettonico. La chiesa, in pietra locale e dai molti accorgimenti tecnici antisismici (a cominciare dal taglio dei blocchi e dai loro incastri), venne costruita sul luogo di una precedente cappella che segnava il luogo del martirio della Santa, che era una giovane di origine romana di nome Patrizia. Il profilo di questa chiesa, all’esterno, ricorda lo sfondo della “Consegna delle Chiavi” che il Perugino dipinse nella Cappella Sistina.
Vicina a questa chiesa, nel tempo e nello spazio, è la chiesa di Santa Gayané (Gaia, compagna romana di Santa Patrizia) dove compaiono precocemente, in anticipo sui modelli bizantini, lo schema a croce greca inscritta con cupola sorretta da quattro sostegni liberi.
Per ciò che riguarda gli edifici religiosi di grandi dimensioni, è molto interessante notare l’affinità delle chiese cattedrali costruite in Armenia dal X secolo, dopo le distruzioni musulmane, con le chiese di pellegrinaggio europee, specialmente quelle lungo i percorsi francesi per Santiago de Compostela. Fra queste cattedrali la più importante è quella di Ani (ora in territorio turco) dalla cui decorazione a colonnine ed arcatelle cieche in facciata, oltre che dalle losanghe, può derivare la decorazione delle facciate delle chiese romaniche a Pisa, a Lucca, in Sardegna e in Croazia. In verità i contatti per motivi mercantili fra la Republica Marinara di Pisa e l’Armenia erano stretti e di antica data risalendo ad epoca anteriore alle Crociate.
Nell’XI secolo le chiese armene si arricchirono di un nuovo elemento architettonico: il tiburio molto alto quasi una torre nolare, poligonale o cilindrico, con l’alta cuspide -a volte con forma ad ombrello - che dette alle chiese armene quell’aspetto particolare di edificio chiuso su se stesso, ma tendente al cielo attraverso la torre dalla forma di cristallo di quarzo.
Questa struttura originale nacque e si affermò solo in Armenia, con l’eccezione di qualche esemplare in Georgia che è la regione dove maggiormente venivano accolti i suggerimenti stilistici armeni.
Un potente tiburio si innalza sopra la chiesa del Monastero di Odzun, il Monastero Dell’Unzione, nel Nord del Paese, così chiamato poiché secondo la tradizione l’apostolo Tommaso qui avrebbe consacrato i primi sacerdoti e vescovi armeni. Nel IV secolo, San Gregorio Illuminatore costruì nel luogo la prima chiesa per custodire le sacre reliquie, Le Fasce di Gesù Bambino, lasciate dall’Apostolo Tommaso, ma nel VII secolo l’edificio venne ricostruito, con la dedicazione alla Madre di Dio.
Nei secoli successivi nei pressi fu fondato il monastero con eremitaggio della Santa Croce. La nuova chiesa fu costruita a tre navate con la navata centrale dal forte verticalismo, coperta da volta a botte e con cupola sul transetto raccordata con pennacchi. In tutta la chiesa, soprattutto all’esterno, venne reimpiegato materiale dell’edificio precedente, tra cui sculture e bassorilievi straordinari con croci patenti e metope simili a sculture medioevali occidentali. Questa chiesa segna il passaggio fra le costruzioni a pianta basilicale a tre navate e quelle a pianta centrale con cupola. All’interno le colonne presso la facciata sostengono una sorta di palco per il coro simile alla westfront delle chiese carolinge dell’area tedesca e svizzera che mostrano grande affinità con le chiese armene. In una nicchia sopra il fonte battesimale si trova una notevole scultura, di difficile datazione, della Vergine col Bambino secondo l’iconografia della Basilissa: la Vergine Imperatrice del Cielo seduta in trono con il Figlio. Sui tre lati, esclusa l’area absidale, la chiesa è circondata da un portico, luogo di sepolture. La zona absidale è piatta con abside inscritta come in molte chiese romaniche pugliesi. Presso la chiesa, a occidente, si eleva uno strano monumento, una sorta di altare, con bifora nella quale sono esposte due stele, cronologicamente anteriori, sulle quali sono incisi, con uno stile essenziale e primitivo, scene della vita di Gesù e personaggi storici. In Italia sculture analoghe si trovano in ambito longobardo.
Tutto il complesso sacro è legato alla forte presenza del Katholikos San Giovanni d’Odzun, uomo di grande pietà e cultura, vissuto nell’VIII secolo al tempo dell’invasione araba.
In mezzo a montagne e foreste di questo territorio si trovano i monasteri di Sanahin “Il più antico” e di Hagbat “Dalle solide mura”, di antica fondazione ma ricostruiti nel XIII secolo, in scura pietra basaltica. Sono entrambi di committenza reale, come testimoniano due sculture con le figure dei principi Zakaryan, eroi armeni contro i Turchi, nell’atto di offrire il modello dei monasteri. La chiesa di Sanahin è dedicata alla Madre di Dio e segue lo schema delle chiese a pianta centrale. È preceduta dal possente “gavit”, struttura architettonica presente in molte chiese armene a partire dal XII secolo, consistente in un quadriportico addossato alla facciata con funzione liturgica per l’accoglienza dei catecumeni, e con funzione civile per assemblee di popolo, come testimoniano le molte lapidi con leggi e statuti affisse alle pareti. Sanahin fu famoso centro culturale e scuola di filosofia e di medicina, il suo scriptorium è arricchito di raffinate sculture aniconiche dal profondo simbolismo e nel pavimento è interrato un gran numero di giare come deposito e nascondiglio di preziosi manoscritti.
Il monastero di Haghbat è uno dei più ricchi e articolati d’Armenia, formato dall’insieme di chiese, cappelle, scriptorium e torre campanaria. La chiesa, dalla pianta centrale, è preceduta dal gavit più bello e possente del Paese, sostenuto da grandi archi costolonati che poggiano su quattro pilastri e si incrociano formando un effetto di soffitto a cassettoni intorno all’alto oculo. In uno degli accessi alla chiesa si trova un khatchkar straordinario, un Amenaprkich, o Croce del Salvatore, sul quale è scolpito Gesù Cristo in croce attorniato da Dio Padre, la Vergine, San Giovanni Evangelista e San Giovanni Battista, Angeli e Apostoli.
In una gola, nel Sud del Paese, in un paesaggio imponente e tormentato di montagne e canyon, in una zona non lontana dall’Ararat e dal passaggio della Via della Seta - di qui passò anche Marco Polo! - il complesso monasteriale di Noravank (Monastero Nuovo), con le sue chiare costruzioni, sembra confondersi con la natura del luogo: sono le chiese e le cappelle funerarie costruite fra la fine del XIII e gli inizi del XIV dai principi Orbelian. Le sculture che le ornano sono eccezionali, con evidenti citazioni della scultura mediterranea e greca classica.
All’interno di una cappella funeraria, sulla lastra tombale di un principe, è scolpita una bellissima e inquietante figura di leone antropomorfizzato.
Nella lunetta sopra la porta del monastero vi è una scultura che rappresenta la Vergine col Bambino seduta su un tappeto e forse è da questa immagine, conosciuta da viaggiatori e mercanti che transitavano sulla vicina importante carovaniera, che nacque in Fiandra e in Italia l’iconografia regale della Vergine col Bambino in trono sopra un tappeto.
In Armenia vi sono anche chiese rupestri scavate nella roccia per motivo di difesa, o per l’influsso del culto delle grotte di antichissima origine mediorientale, affini, anche se non nell’aspetto, a quelle etiopiche di Lalibela, appartenenti alla religione copta, di origine monofisita come la Chiesa armena. L’insieme delle chiese in parte rupestri, in parte edificate, del monastero di Geghard (Monastero della Lancia) nella omonima tormentata vallata, è di origine molto antica e sorse intorno ad una sorgente ancora oggi oggetto di un culto profondo professato quasi alla maniera buddista. La denominazione gli deriva dall’aver custodito, dall’età delle Crociate fino a tempi recenti, la lancia che ferì il costato di Cristo. Questo monastero fortificato, documentato a partire dal IX - X secolo allorché venne distrutto dai Musulmani, fu ricostruito nel XII secolo. Si presenta come una sorta di percorso iniziatico segnato da cappelle funerarie destinate alle grandi famiglie armene del tempo, e da grotte eremitiche fra le quali si stagliano grandi e bellissime croci di pietra. La chiesa principale venne costruita dai principi Zakaryan nel 1215, ha la pianta a croce greca con bracci inscritti e cupola posta sul loro incrocio, raccordata con pennacchi e coperta dall’alto cono del tiburio; all’interno il braccio orientale costituisce l’abside, agli angoli degli altri bracci si trovano cappelle su due piani coperte da volta a botte. La chiesa è preceduta dal gavit che anche qui, sostenuto da forti colonne dai capitelli istoriati, presenta dal punto di vista strutturale e funzionale, innovazioni e invenzioni influenzate dall’arte islamica e indiana; la luce proviene essenzialmente dall’alto da un oculo che contribuisce a dare al luogo l’aspetto di un antro naturale scavato nella roccia. Dal lato nord del gavit si accede ad una cappella funeraria destinata alla potente famiglia dei Proshian, una sorta di nartece a due archi delimita la zona sepolcrale. La straordinaria decorazione scultorea del nartece, dal forte contenuto simbolico e araldico, dal punto di vista stilistico e formale, con i suoi grandi animali resi con morbida plasticità - due leoni aggiogati, un’aquila che trattiene con gli artigli un agnello e uccelli fantastici - è molto vicina ad alcune sculture che ornano la facciata occidentale della basilica di Sant’Ambrogio a Milano. Da questo sacello, si accede ad un’altra cappella, completamente scavata nella roccia e illuminata dall’alto oculo; qui la presenza di un’inusitata Croce dai possenti bracci cilindrici e di un’altra, anch’essa in uno stile forestiero, potrebbe essere l’indicazione di un passaggio templare dal cenobio.
I monumenti armeni da descrivere sarebbero ancora tanti e tutti di grandissimo interesse dal tempietto ellenistico di Garni, al suggestivo monastero sulla penisola del lago Sevan, alla piccola chiesa in rovina presso il ponte di Alaverdi che ha forme e decorazioni simili a quelle di contemporanee chiesette umbre (XI-XII secolo). Sarebbe necessario e affascinante approfondirne lo studio perché le affinità con i monumenti medioevali occidentali sono molte e la datazione delle costruzioni armene è spesso anteriore a quella bizantina ed europea.

Un posto a sé fra le opere d’arte meritano in Armenia i Khatchkar, le Croci di Pietra, simbolo della profonda fede cristiana del popolo, che a migliaia si ergono nel Paese e nei territori che facevano parte dell’Armenia. Le pietre con le croci, di varie dimensioni, derivano dalla cultura antichissima del regno di Urartù, quando le stele, incise o meno, rivestivano un ruolo sacro come in molte altre antiche civiltà: la pietra, per la sua stessa natura terrestre o siderea, era simbolo di eternità e immortalità, rappresentava gli dei o racchiudeva le anime dei defunti, come i dolmen, i menhir o i betili degli antichi arabi. Il Khatchkar è una stele sulla quale è incisa una Croce i cui bracci si confondono con i racemi dell’Albero della Vita, forte simbolo cosmico di provenienza estremo-orientale.
Con l’avvento del Cristianesimo l’antica stele pagana assunse un forte significato religioso e venne posta nei luoghi sacri, su sepolture o quale memoriale di grandi eventi. Lo stile e la qualità estetica di queste croci, che hanno affinità con quelle celtiche, varia a seconda del periodo e della committenza; i khatchkar di maggiore bellezza furono realizzati fra il XII e il XIII secolo, quando le superfici venivano scolpite su molteplici piani fino ad ottenere opere simili in delicatezza al merletto armeno.
Nella produzione artistica armena non vi sono molte opere in pittura, fanno eccezione le bellissime miniature realizzate fra XII e XIII secolo soprattutto in Cilicia, dove subirono l’influenza del realismo della pittura europea.

I rapporti fra l’arte armena e quella europea, con particolare riferimento a quella italiana, furono molti fino dall’antichità, ma è nell’età delle Crociate che si fecero molto stretti. Questo campo è stato indagato con studi approfonditi e con passione da Adriano Alpago Novello, noto architetto e studioso di storia dell’architettura, che iniziò questo percorso quando ancora l’Armenia faceva parte dell’Unione Sovietica. Le regioni italiane che maggiormente sembrano aver ricevuto l’influenza dell’arte armena sono la Puglia, la Toscana, con Pisa in particolare, la Lombardia, con Milano, e la Liguria. Qui c’è una chiesa - il duecentesco duomo di Santa Maria Assunta a Ventimiglia - molto diversa dai vicini modelli liguri e lombardi. Si parla di influenze iberiche ma, in verità, il forte tiburio poligonale e la zona presbiteriale fanno piuttosto pensare alle lontane chiese armene che gli Intemelii, audaci navigatori, potevano aver visto, e ammirato, nelle città del Mar Nero o della Cilicia da dove, forse, avevano portato in patria abili maestranze locali.
PIOGGIA DI PRIMAVERA
Frammento

Sui campi insistente con la sua malinconia
non è la pioggia che cade.
E’ un rovescio di primavera che innaffia luce
sulle campagne infinite.

Le stelle nascoste, come sciolte dal sole,
si riversano a torrenti,
e nella loro luce scintillante
lavano campi e vigne.

L’azzurro d’improvviso piange per il riso violento,
e piove diamanti;
s’illuminano le fonti cieche e cantano
la loro fertile origine.
.......

E nei miei campi, nei miei campi intrisi di sudore
i grani tardivi
germogliano con rinnovato vigore
affiorando tra le gocce.

E nella foresta purificata in questo momento
- secondo la leggenda del mio villaggio –
un cervo nasce sotto l’arcobaleno,
un cerbiatto simile alla luna.
Daniel Varujan (1884 – 1915)

Traduzione di Antonia Arslan

I versi struggenti di questo poeta armeno, vittima del genocidio, composti di parole e suoni che sembrano discendere dall’antichissimo Inno di Vahagn, evocano una suggestiva leggenda: la rinascita avverrà sotto l’arcobaleno, “cintura di porpora”.

DIDASCALIE IMMAGINI

La chiesa di Khor Virap
Complesso monasteriale dal secolo VII

Echmiadzin
Cattedrale di MAYR TACHAR, V – VII secolo

Echmiadzin
Cattedrale di ZVARTNOTS, VII secolo

Echmiadzin
Chiesa di SANTA HRIPSIME’, VI – VII secolo

Ani
CATTEDRALE XI secolo

Odzum altare votivo - Odzum chiesa XII VII

Sanahin
CHIESA XII - XIII secolo

Hagbat
CHIESA Amenaprkich XIII secolo

Noravank
CHIESA E MONUMENTO FUNERARIO XIII secolo

Noravank
MONASTERO, lunetta del portale
La Vergine col Bambino sul tappeto, XIV secolo

Geghard
CHIESA XIII secolo

Geghard
KHATCHKAR rupestri