Anno 1 - N. 3 / 2002


salute OGGI come IERI

PICNIC SULLA LUNA

Viaggi dalla terra all’universo siderale: quale sostentamento a bordo dell’autobus spaziale?

di Ambra Morelli



Alcuni elementi in dotazione agli astronauti durante la missione dell'Apollo 11. La razione, pro die, per ogni astronauta era di 2500 ca. Da sinistra: torta di frutta all'ananas, budino al cioccolato, carne e vegetali


Si viaggia per conoscere, per scoprire, si viaggia per diletto, per lavoro: la staticità non è certo caratteristica del nostro tempo. Oggi viaggiare fa parte del nostro quotidiano, mettersi in cammino non è più un problema e i mezzi sono sempre più veloci ed efficienti.
Viaggiano le merci, viaggiano le idee.
All’epoca in cui scrisse “Il giro del mondo in ottanta giorni”, Jules Verne forse non aveva l’esatta idea di quanto tempo occorresse per farne un giro completo: oggi con un aereo bastano 24 ore per andare dalla parte opposta della terra e con le tecnologie attuali si può far circolare le idee intorno al mondo in otto secondi grazie a internet.
Desiderando fare la prima colazione a Londra e cenare dall’altra parte dell’oceano Atlantico, si può prendere il Concorde che porterà cento passeggeri a New York in 2 ore e 54 minuti: un viaggio breve, reso piacevole da eleganti comfort che comprendono anche lo champagne.
Diverse le esperienze del passato: per esempio, tra i pionieri del Far West che affrontavano le traversate del territorio americano per espandersi nei territori vergini dell’ovest, si dovevano prevedere spostamenti di grosse quantità di prodotti e suppellettili. Tra le varie esigenze, dovevano provvedere anche al loro sostentamento alimentare: del resto viaggiavano verso lande sconosciute che avrebbero potuto anche non offrire cibo a sufficienza o commestibile. Mais, patate, zucche, grano, maiale salato, carne di orso, the e caffè erano i cibi di frontiera: spesso, lungo la strada, i pionieri cacciavano o raccoglievano castagne e bacche dalle foreste.
Da sempre si è provveduto “al pasto in viaggio” e fin dal tempo dei Romani, lungo tutte le strade, esistevano stazioni di cambio per i cavalli e per la manutenzione della vettura che fungevano anche da stazioni di ri-storo attrezzate per ospitare e per mangiare. I viaggiatori meno abbienti portavano con sè tutto il necessario per essere autosufficienti, comprese le vivande che preparavano da soli o consegnavano al locandiere che preparava loro la cena. I viaggiatori più agiati portavano con loro tutto, anche il cuoco. Più frequentemente, però, ci si accontentava di piatti semplici ma già pronti: salsicce, carne bollita, qualche verdura, cibi sotto sale, prosciutti e lardo, formaggio e latte.
Lo sviluppo tecnologico che contraddistingue la nostra epoca consente spostamenti facili a livello talmente diffuso e, tutto sommato a basso costo, che è normale passare parte della propria vita viaggiando: poche cose in valigia, la carta di credito e via alla scoperta del mondo.
Avere tutte le comodità a cui si è abituati significa anche poter provvedere ai pasti della giornata in modo confortevole direttamente sul veicolo di trasporto, senza scendere a terra. Ecco allora che si sviluppa la tecnologia del “pasto a bordo” che consente di personalizzare, caratterizzare, scegliere, diversificare ciò che si mangia, ciò che si beve.
Archiviati i servizi da viaggio e gli eleganti ma complicati cestini da picnic del settecento, dimenticati i cibi conservati secchi o in salamoia di epoche passate, ecco il “cibo volante”, proposto nei viaggi aerei e contenuto in piccoli e graziosi vassoietti funzionali che contengono un intero pasto. Nulla a che vedere con i menù forniti a bordo delle navi da crociera o, perché no, sulle carrozze ristorante dei treni che, non avendo i problemi di spazio degli aerei, possono fare molto di più.
Di recente il mondo si è allargato, i viaggi ormai hanno un futuro intergalattico da quando è stato portato il primo turista nello spazio: questo apre un’altra storia di viaggi, anche se è ben lontana dal diventare popolare. Senz’altro spalanca la porta su molte innovazioni studiate per mandare l’uomo sulla luna e, senza che ce ne rendiamo conto, utilizzate quotidianamente da tutti. Eh sì, perché spedire l’uomo, magari per lungo tempo, in luoghi in assenza di gravità con scarse possibilità di conservazione e stivaggio degli alimenti e con il necessario controllo del quantitativo degli scarti, ha impegnato molto la ricerca.
Quando trent’anni fa John Glenn divenne il primo americano in orbita attorno alla terra, la sua missione è durata più o meno cinque ore. Il suo viaggio è stato troppo breve per fare del cibo una necessità ma la sua esperienza aiutò a disegnare il “food space system”: preoccupava che l’assenza di gravità rendesse difficoltoso il deglutire. Glen trovò relativamente facile mangiare e che, una volta che il cibo raggiunge, la bocca non ci sono problema nella deglutizione. Altro particolare, i cibi non dovevano produrre briciole che avrebbero potuto contaminare, galleggiando nell’ambiente, le delicatissime strumentazioni di bordo. Dai bocconi di cibo essiccato, al cibo semiliquido inserito in tubetti simili a quelli usati per il dentifricio dal gusto decisamente scadente, si è studiato fino ai giorni nostri il miglioramento del menù.
Mangiare sul modulo spaziale è relativamente semplice: coltello, forchetta, cucchiaio trattenuti con un dispositivo di fissaggio in velcro sul vassoio che è dotato anche di un paio di forbici per tagliare l’apertura degli imballaggi contenenti i cibi e fissato alle gambe dell’equipaggio durante il pasto. Attualmente la NASA dispone di 200 varietà differenti di cibo e bevande che comprendono anche il pane fresco e il formaggio, nonché senape, ketchup, maionese, sale e pepe liquidi.
Ecco che cosa comprende, attualmente, il menù di bordo: ogni giorno sono disponibili tre pasti con una ripetizione del menù ogni sei giorni, più una certa quantità di snacks. I cibi vengono preparati e conservati con le più moderne e avveniristiche metodologie di conservazione.
Lo studio dei menù possibili non è semplice, il cibo deve essere facilmente mangiabile anche in una rarefatta gravità come quella dei veicoli spaziali: la friabilità dei crackers, per esempio, con il rischio di produrre briciole non li rende adatti, ma anche per i succhi di frutta occorre una giusta viscosità per farli aderire al cucchiaio. Il tutto, naturalmente, condito dall’aspetto non indifferente del gusto. L’esperienza di studio e di produzione di cibi per lo spazio, del resto, ha reso e renderà potenziali benefici anche nell’uso che si può fare sulla terra. Infatti, è in seguito a questi studi che sono stati utilizzati melange nutrizionali di alta specificità, che hanno migliorato la qualità di vita di malati invalidati dall’impossibilità di nutrirsi naturalmente. Oppure, il metodo di controllo igienico della produzione alimentare, il cosiddetto sistema HACCP, che è ormai adottato in quasi tutto il mondo nonché in Italia legge dello Stato, che consente di individuare i punti critici in cui può instaurarsi la contaminazione batterica dei cibi e quindi una loro pericolosità al momento del consumo. Inoltre, questi studi hanno reso possibile un tipo di alimento grandemente utilizzato e pubblicizzato come le barrette sostitutive dei pasti vendute comunemente in farmacia e al supermercato. Ci si può aspettare ancora molto. Nel frattempo la gastronomia spaziale va avanti e propone menù diversi per gusti diversi: cibo messicano, italiano, vegetariano o giapponese. Nuovi cibi saranno sviluppati e verrà valutata, oltre il loro possibile uso nei viaggi oltre l’atmosfera, anche una loro futuribile commercializzazione.
In attesa di poter inaugurare l’era dei viaggi oltre i confini della terra e sostare in una International Space Station, prepariamoci: l’assenza di gravità per lungo tempo trasforma in opache le sensazioni gustative rendendo molto interessanti i cibi dai sapori forti, per esempio quelli speziati. La cucina italiana avrà nella cucina messicana una concorrente “spaziale”?