Anno 2 - N. 5 / 2003


SULLE ORME DI MEGALÈXANDROS: UNA VITA PER LA MEMORIA

Personalità complessa, di eccezionale e intrigante intelligenza, con ambizione senza uguali a lui sono paragonabili solo Giulio Cesare e Napoleone

O Aléxandros “tu ardi nel fuoco che brucia nel cuore degli Dèi”

di Giulio Cesare Maggi



La battaglia del Granìco (1529)

Albrecht Altdorfer

Monaco, Alte Pinakothek

Ci sarà pure un motivo per cui ancora oggi i pescatori dell’isola di Lesbo, quando nel freddo inverno, impossibilitati a mettere in mare le barche a causa delle condizioni avverse, vicino al fuoco bevendo mastíga e fumando il dolce tabacco macedone invocano, quale fosse un Dio, Megaléxandros, Alessandro il Grande, per placare i marosi ed i venti.
Ancor oggi, a distanza di ventitre secoli, molte canzoni popolari in Grecia ne ricordano ed esaltano le gesta. Più che storia – e storia fu – la vita di Alessandro Magno è diventata nei secoli leggenda e mito.
Il primo racconto storico relativo ad Alessandro e agli accadimenti della sua epoca è quello di Diodoro Siculo (I sec. a. C.) il quale riferisce notizie di Autori a lui precedenti o coevi, senza peraltro citarne le fonti: si tratta della sua Biblioteca Storica (Libro XVII).
Ma è con la Vita di Alessandro di Plutarco di Cheronea (c.ca 45-125 d.C.), più che altro una bellissima biografia senza uno studio critico-storico e dedicata agli aspetti caratteriali dell’Uomo, che si rendono disponibili notizie più accurate. Più aderente alla realtà storica, sulla base delle fonti disponibili, è l’Anabasi di Alessandro di Arriano di Nicomedia, allievo di Epitteto, vero storico delle spedizioni alessandrine. Una Storia di Alessandro in 10 libri (di cui i primi due perduti) è quella di Q. Curzio Rufo vissuto all’epoca dell’Imperatore Claudio (I sec. d.C.): accanto a quest’opera va ricordata l’Epitome delle Storie Filippiche di Pompeo Trogo (I sec. d.C.). In entrambe queste opere prevale sulla storia il clima avventuroso e magico di quell’Oriente che Alessandro ebbe in sorte quale aspirazione e quale destino.
Il conflitto tra Grecia e Persia nel corso del V e del IV secolo a.C. aveva dato luogo a battaglie terrestri e navali memorabili con alterne fortune, che in Grecia avevano posto fine alle tirannie nelle polis ed aperto un discorso di democrazia il cui influsso ancor oggi è vivo ed operante nel mondo occidentale.
Nel 387 a.C. i Persiani imposero alla Grecia, e soprattutto alle due città politicamente prevalenti, Atene e Sparta, quella che fu chiamata la “Pace del Re”: questo trattato faceva della Persia la signora della Grecia, di Cipro e di tutta la costa anatolica. Inoltre Sparta era in posizione egemone nella penisola greca e costituiva il “braccio secolare” della dominazione persiana. L’astuta politica persiana consentì successivamente questo ruolo ad Atene, ciò che finì per costituire fonte di permanente conflittualità tra le due polis. Per certo in quella metà del IV secolo a.C. era operante nelle dottrine politiche il concetto di Isocrate che assegnava la superiorità in politica all’eccellenza culturale, che non poteva essere che di Atene.
Dalla “Pace del Re” in poi la “koiné eirene” (la pace comune) avrebbe dovuto e potuto consentire un pacifico sviluppo del benessere.
Assai significativo fu difatti lo sviluppo economico di quel periodo (a questo proposito molto interessante l’Economicos di Senofonte) con ampie ricadute anche sul diritto e sulla famiglia. Nel contempo sembrava ormai utopico allo stesso Isocrate che fosse realizzabile dall’interno un’unità (koiné) greca vera e propria.
Lo sviluppo della Macedonia, intorno alla metà del IV secolo cominciò a far pensare a qualcuno che essa avrebbe potuto giocare quel ruolo che fino a quel momento né Atene né Sparta ed in fondo neppure la Persia avevano saputo interpretare. Pur della stessa origine etnica la Macedonia era considerata dai Greci, per la sua arretratezza, un paese barbaro. Essa era però il punto di congiunzione tra Danubio, Adriatico e Tracia. Ricca di miniere d’oro e d’argento, di legname, di cavalli, la Macedonia si avviava perciò a diventare un Paese importante anche se separato da divisioni tribali.
Ci interessa qui il periodo in cui regnò sulla Macedonia Filippo II, il padre di Alessandro, salito al trono nel 355 a.C. Filippo abilmente costituì il gruppo degli “Amici del Re” legando, anche con matrimoni, i capi tra di loro e con se stesso e creando un efficace esercito, dotato di tecniche originali (la falange macedone), una potente cavalleria, arma quest’ultima ignota ai Greci nel cui territorio il cavallo era un animale raro e di lusso.
Filippo II era un uomo di cultura greca (fu ostaggio a Tebe per tre anni) e cercò di sviluppare rapporti con l’Attica facendo rappresentare il teatro greco: egli aveva inoltre acquisito dalla Grecia il concetto di esercito mercenario. Lo sviluppo di una forza militare ed economica macedone fu fortemente temuto ed avversato da Demostene che vide in esse, e a ragione, la fine della polis e dell’indipendenza greca.
L’occupazione da parte di Filippo della penisola Calcidica, ove erano alcune colonie greche, fu l’inizio di quest’azione di disgregazione del mondo greco indipendente. Nel 357 a.C. Filippo sposa Olimpias, principessa dell’Epiro, che vantava discendenze da Achille ed Ercole. Nel luglio del 356 nasce Alessandro, il primogenito di Filippo.
Il giovanetto viene inviato da Pella, la capitale, a Miezza ove ha per maestro nientemeno che lo stagirita Aristotele. L’adolescente Alessandro adora l’Iliade, la legge di sera prima di dormire: ma molto dello scibile che il mondo greco conosceva allora in campo filosofico, artistico, geografico, matematico e scientifico diventa per lui familiare ed indelebile. Aristotele forse lo iniziò a conoscenze filosofiche segrete ed Alessandro non perdonerà mai al Maestro di aver spartito questi segreti con altri allievi.
Ma presto il mestiere delle armi si impadronisce di lui. La Lega tra Atene e Tebe, divenuta poi Lega Panellenica in funzione anti-macedone, induce Filippo ad invadere militarmente il paese confinante. Nella battaglia di Cheronea (settembre 338 a.C.) la Lega è sconfitta da Filippo ed in quell’occasione l’appena diciottenne Alessandro, che guida la cavalleria macedone, si copre di gloria.
Si forma a questo punto la “Lega Corinzia” e finisce la libertà della Grecia che diverrà un protettorato macedone. Il matrimonio di Filippo con Cleopatra determina la fuga di Olimpias ed Alessandro da Pella verso l’Epiro, ove è Re Alessandro fratello di Olimpias.
Nel 336 a.C. Filippo viene assassinato da un suo ufficiale, Pausania (un complotto di Olimpias ed Alessandro?) ed Alessandro è riconosciuto Re all’età di 20 anni. Nella primavera del 334 un grande esercito macedone e greco, forte di 50.000 tra fanti e cavalieri sbarca in Asia Minore e raggiunge Troia dove Alessandro sacrifica all’antenato Achille ed a Patroclo.
La battaglia contro i Persiani sulle rive del fiume Granìco è la prima grande vittoria su Dario III. Segue l’occupazione di grandi città dell’Asia Minore: qui, a Gordio, il taglio del giogo o nodo gordiano con la spada è sicuramente di significato simbolico. Nel novembre del 333 l’esercito persiano viene sgominato a Isso, dove la famiglia di Dario è fatta prigioniera. Con l’assedio e la conquista di Tiro (333-332) Alessandro ha la via aperta per l’Egitto.
Dopo aver conquistato Eliopoli e Menfi; le antiche capitali dei Faraoni, egli vi si fa incoronare con la corona dei Due Ragni e ne assume tutti i privilegi relativi: indice giochi sacrificando ad Ammon e a Zeus. Ma il suo scopo è quello di raggiungere l’oasi di Ammon (oggi Siwa) da Menfi. Con una marcia nel deserto arriva nella primavera del 331 al tempio, celebrato per il suo oracolo anche dai Greci che in Egitto sono di casa da secoli. Vuole sapere se è figlio di Zeus, come gli ha rivelato la madre. Qui il celebre episodio: il sacerdote, forse non perfetto nella lingua greca o per avere favori, lo chiama “O pai diòs” (figlio del Dio) in luogo di “O paidion” (ragazzo). È quello che in cuor suo attendeva, anzi agognava il grande Faraone.
A questo punto il destino era suo, nessun limite alla sua intelligente cupidigia per la quale il mondo era troppo piccolo. Di questa sfrenata ambizione sono testimoni la statuaria, la monetazione ma innanzitutto la fondazione della città di Alessandria (332-331 a.C.) che avrebbe dovuto essere la città più grande del mondo.
La posizione geografica del sito ove sorgerà la città aveva incantato Alessandro ed il suo architetto Dinocrate. L’isoletta di Faro ed il porticciolo, l’eunostos, erano noti ai Greci, che qui sbarcavano nel punto più vicino alla Grecia, presso il villaggio egizio di Rakotis. La posizione era felicissima ed i confini della città furono tracciati con la farina che i corvi mangiarono allegramente. Gli indovini predissero da ciò un futuro prospero al nuovo insediamento che altro non poteva chiamarsi se non Alessandria, la prima di una serie di città che tale nome avrebbero portato (e talune lo mantengono ancora oggi), fino ai confini del mondo.
Alessandro lasciò l’Egitto nell’autunno 332-331: il destino lo chiamava altrove, innanzitutto all’Eufrate.
Il 1° ottobre 331 a Gaugamela presso Ninive, Dario III subisce una sconfitta definitiva ed Alessandro, proclamato dall’esercito “Re dell’Asia” entra in Susa. Nel 330 conquista Persepoli che viene incendiata da Alessandro per vendicare le distruzioni apportate dai Persiani alle città greche, in particolare Atene ed il Partenone. A Pasargade, vicino a Persepoli, medita sulla tomba di Ciro il Grande, circa la caducità delle umane cose.
Mentre fugge verso Ecbatana (l’odierna Hamadan) e poi la Bactria (l’attuale Afghanistan), Dario viene ucciso ed Alessandro piange sul cadavere del leale nemico (estate 330). Penetra dunque nell’Asia, forse fino a Samarcanda (329).
Nell’autunno del 328 Alessandro, in occasione delle feste dionisiache, uccide l’amico Clito, che al Granìco gli aveva salvato la vita, in un eccesso d’ira ed in preda al vino. Nella primavera del 327 Alessandro sposa Rossana e prima di partire alla conquista dell’India, da Babilonia organizza il suo vasto impero come una “koiné comune” con moneta unica e lingua ufficiale quella greca. Nell’estate del 326 inizia la conquista dell’India, il “paradiso” che già cinque millenni prima era stato percorso da Dionisos, Dio ed uomo, riferimento permanente di Alessandro. Egli attraversa l’Indo diretto all’Oceano, sogno a lungo accarezzato, che si dilegua per la ribellione del suo esercito. Durante una battaglia sull’Indo Alessandro è ferito al fegato da una freccia in modo serio e anche questo l’induce a considerare il ritorno a Babilonia. Costruita una flotta con marinai ciprioti, greci ed egizi segue il corso dell’Idaspe, sempre allo scopo di raggiungere l’Oceano, che allora si considerava finis Terrae dell’Oriente.
Qui è ora alla foce dell’Indo e dall’Oceano Indiano muove verso la foce dell’Eufrate (estate 325), mentre l’esercito di terra nel frattempo inizia un viaggio di ritorno lungo le coste del Golfo Persico.
Nel febbraio del 324 a.C., tornato in Persia, sposa due principesse, una figlia di Dario e una figlia di Artaserse. Nell’ottobre dello stesso anno a Ecbatana celebra feste in onore di Dionisos.
Nella primavera del 323, nel corso di guerre locali, nuovamente esplora il Mar Caspio: nel frattempo fa restituire alla Grecia le opere d’arte sottratte da Serse. Inizia ora la costruzione della grande tomba dell’amato Efestione.
Il 10 giugno 322 a.C., dopo un periodo di febbri (malaria?, amebiasi?) Alessandro muore in Babilonia nel palazzo appartenuto a Nabucodònosor. La salma, imbalsamata dagli specialisti egiziani ed immersa nel miele a scopo di conservazione, viene trasportata da Babilonia ad Alessandria d’Egitto e deposta in un sito la cui ubicazione è fino ad oggi ignota, comunque in quella zona di Alessandria che è chiamata Soma.
Per certo Ottaviano Augusto (30 a.C.) e Adriano (130 d.C.) posero sulla tomba che conteneva un sarcofago d’oro ricoperto di cristallo, le insegne imperiali in segno di omaggio. L’Egitto era, lo ricordiamo, provincia imperiale.
Ultimo visitatore fu l’imperatore L. Settimo Severo “colui che suggellò la tomba d’Alessandro” (G. D’Annunzio, “La canzone d’oltremare”, 1911-12), affinchè nessuno vi scendesse dopo di lui.
Personalità complessa, di eccezionale ed intrigante intelligenza, con un’ambizione senza eguali – a lui sono paragonabili solo Giulio Cesare e Napoleone – Alessandro partecipava di grandi personaggi ai quali costantemente faceva riferimento. Anzitutto Achille, l’eroe guerriero iracondo (chi non ricorda l’ira funesta del Pelide Achille?), e poi Ercole, il semidio dall’ostinata pazienza, che si è caricato di tutti i dolori del mondo e delle sofferte e sopportate violenze della guerra.
E ancora Dionisos, ai cui misteri era stato introdotto dalla madre Olimpias, che gli aveva resi familiari banchetti, bevute orgiastiche e, probabilmente, l’aveva spinto alla spedizione in India, dopo oltre 50 secoli dal “viaggio” di Dioniso verso quel “paradiso” dove le fontane davano oro. E in India forse sperava di conoscere la verità prima delle cose che il Dio aveva lasciato come messaggio misterico e misterioso da svelare.
Grande viaggiatore perciò oltre ogni limite: una tenda per casa, come era stato di Ciro il Grande, il suo costante modello, conquistatore sì ma tollerante verso i popoli sottomessi, sudditi sì, ma tutti con uguali diritti. Come bene approfondisce Piero Citati, non fu uno solo ma tanti e la leggenda che avrebbe trasformato la sua figura si delineò già durante la sua vita.
Si può affermare senza tema di smentite che egli viveva nel tempo e fuori dal tempo. Uomo di origine divina, come si era sentito dire dalla madre, che si era congiunta con Zeus sotto forma di serpente, e confermare in Egitto dal sacerdote di Ammon-Zeus; perciò si credette condannato all’immortalità, in un tempo nel quale l’uomo greco aveva orrore di questa e si definiva un brotos, cioè dotato della capacità di morire, eventualmente con un destino ultraterreno quale quello promesso dall’Orfismo. L’essere athanathos, cioè un immortale, era una sorta di condanna difficile a sopportarsi, trasmessa ed impostagli dal Padre, che non disdegnava occasionali visite dall’Empireo a talami privilegiati.
Alessandro fu certo uomo di straordinaria intelligenza e capacità, alle quali la certezza dell’origine divina e di un destino superiore, diedero un vigore sovrumano. Il suo sguardo lo rivelava, ai suoi contemporanei, mortale di origine divina: presentava difatti una diaforìa, un occhio verde e uno azzurro: chi se non un Dio?.
Al di là di quello che poi divenne leggenda e mito, il disegno politico di Alessandro fu certamente grandioso: il fatto di aver diretto la sua espansione verso Oriente ha sicuramente modificato la storia dell’Uomo.
La koiné comune, un’unica moneta ed un’unica lingua dalla Grecia fino alle steppe dell’Asia, all’Egitto, tutti riuniti sotto un unico impero con Babilonia come capitale resero Alessandro il dominatore, l’egida del mondo. A questo punto, vestito di ricchi abiti orientali, pretese la proskinesis, l’inginocchiamento davanti a sé, cosa che dispiacque ai Greci, ma che fu considerata normale da tutti gli altri popoli: ci si inginocchiava dinanzi ad una divinità vivente.
Ma certo quello che di lui rimane, ed è moltissimo, vive nel ricordo di Achille, il semidio storico che ha un punto debole, il tallone. La leggenda di Alessandro ha attraversato i millenni: oltre alle già ricordate fonti storiche greche e romane, troviamo il suo mito persino nel Corano, nel Medioevo occidentale con la favolosa “Legende d’Alexandre”, che fu uno dei libri più letti dell’epoca, “l’Histoire du grand Alexandre” e “l’Alexander” di Rudolf von Ems, pure di epoca medioevale.
Così pure in Oriente, la vita di Alessandro Magno nel Codice armeno del XII secolo conservato a S.Lazzaro che verosimilmente fu noto a Bisanzio, il “Shahmam” di Firdausi (1330) ed il “Khamsek” di Nizami del 1535. E da allora centinaia, forse migliaia di libri hanno ricordato – con maggiore o minore aderenza alla storia – le gesta di Alessandro il Grande.
Egli fu l’uomo che volle tutto il mondo e lo trovò troppo piccolo per i propri desideri.
L’euklèos di Eraclito che solo aspira al ricordo dei mortali, il vero “puer aeternus” di Ovidio, e, forse, il Dio del dominio supremo del mondo di Nietzsche. Ancora oggi ad Aléxandros sono dedicate collane storico-romanzate quale quella di Valerio Massimo Manfredi, molto bella anche letterariamente.
“Sempre gli incroci tra mortali ed immortali, covano in sé un’inquietudine insanabile, un’ansia incoercibile per la conquista della vita immortale” dice Monica Centanni. La speranza di un’eterna salvezza – che forse viene ad Alessandro dal mito di Dionisos e dall’Orfismo – non è disgiunta in lui dal peso dell’estrema fatica su di lui incombente. Forse ne è la desiderata premiazione. “Omnes mortales sesse laudari optant” diceva Ennio (Annales, 560), ma questo non bastava certo ad Alessandro: egli aveva bisogno del ricordo della memoria in tutti i tempi a venire.
Con Alessandro si chiude la grecità come fatto politico, ma si apre il periodo dell’immortalità della sua memoria che ancora oggi ci affascina e ci esalta.
O Aléxandros “tu ardi nel fuoco che brucia nel cuore degli Dèi”.