Anno 3 - N. 7 / 2004


LE CISTERNE

sistemi idraulici dell’Italia romana

di Daniele Garnerone



La cisterna di Fermo


Alle opere idrauliche ed ai manufatti connessi a corsi d’acqua, originate per rispondere ad una vitale e primaria necessità dell’uomo, sono riconosciute particolari valenze che si distinguono da tipi architettonici complessi. Pure, i manufatti idraulici sono stati nel tempo interessati da interventi di recupero, reimpiego e trasformazione.
La necessità di disporre di quantità d’acqua sufficienti al sostentamento ha spinto l’uomo sin dai tempi più antichi a sostare stabilmente in prossimità di riserve idriche, adattando volta a volta le sorgive, i corsi d’acqua o di bacini che fossero alle regole ed alle strutture degli insediamenti. Un adattamento in questo senso indistinto per Cnosso, Atene, Siracusa o Parigi. La presenza di acqua è poi sottolineata per la specifica funzione vitale presso santuari; la vicinanza non solo fisica dell’acqua a siti di specifica valenza simbolica si riscontra ovunque nel mondo antico, dal santuario ittita di Yasilikaya ai templi assiri, dal Fons Iuturnae di Roma al santuario vivente di Apollo al Portonaccio o all’euganeo Fons Aponi.
Ogni quotidiana esigenza di un insediamento umano, dalla prima necessità di bere ed alimentare la comunità o il bestiame allevato, alle fasi di lavorazione dei componenti costruttivi o, ancora, di lavarsi e lavare ogni utensile obbligò alla ricerca di sistemi di captazione e di raccolta dell’acqua, al fine di garantire la conservazione di idonee riserve idriche. Un primo passo fu compiuto mediante l’impiego di recipienti naturali, zucche svuotate, per esempio, ma anche grandi pithoi rinvenuti in aree archeologiche, manufatti destinati essenzialmente agli usi di un singolo nucleo familiare. Un passo successivo fu compiuto a livello comunitario con la predisposizione di invasi ben più grandi, frutto di fatiche proporzionalmente maggiori, derivate da una organizzazione sociale strutturata ed indicatrice di ricchezza. Il riferimento a cisterne che altri avevano fabbricato che la Bibbia sottolinea come rivelatore di agio derivante direttamente dalla bontà divina.
La forma più semplice di questi primi bacini di raccolta di acqua, meteorica o di sorgiva, era costituita da fosse ricavate mediante lo scavo di rocce compatte, mediamente impermeabili e quindi in grado di assicurare il mantenimento nel tempo di adeguate quantità d’acqua, o direttamente nel terreno, questo opportunamente rivestito di argilla all’intorno. Del tutto evidente che tali manufatti derivarono nella loro concezione dall’osservazione del ristagno dell’acqua in cavità naturali; tali manufatti appaiono numerosi in quasi tutte le epoche, dipendendo essenzialmente dall’impossibilità o dal mancato interesse ad arrivare a soluzioni più complesse.
È appunto accanto a queste primordiali cavità di raccolta dell’acqua che si affiancano sin dai tempi più antichi opere complesse, autonome nell’impianto o connesse ad edifici. Questi invasi erano costruiti con blocchi di pietra, rivestiti sulla faccia interna con un intonaco impermeabilizzante e quantunque scoperti come le vasche “naturali”. Ma la necessità di proteggere l’invaso fu ben presto sentita e a questa esigenza si rispose dapprima con coperture mobili, sorta di tettoie o coperchi quali ancora diffusamente si trovano a protezione delle cisterne nelle campagne.
Le tre cisterne del Castello Eurialo, nel siracusano, pur non essendo in linea di massima destinate alla raccolta di acqua per il consumo umano, dovevano essere coperte.
Con il progredire delle conoscenze tecniche applicate alle costruzioni si tese alla copertura stabile degli invasi, piccoli o grandi che fossero. L’arco tarda ad essere impiegato nella costruzione delle cisterne sotterrane, la cui architettura fu caratterizzata a lungo da una composizione trilitica, costituita da pilastri o colonne a sostegno di lastre monolitiche a copertura delle vasche.
Sul Colle della Rocca di Cefalù, all’angolo nord-ovest del complesso denominato Tempio di Diana, una piccola cisterna era alimentata da una sorgiva; l’impianto era dotato di una canalizzazione e da un invaso a monte della cisterna che doveva assolvere alla funzione di bacino di decantazione. Questa cisterna fu scavata nella roccia e coperta con monoliti appoggiati ad una rozza colonna centrale, costituita da tre rocchi sovrapposti e da una specie di abaco. Lo spazio della vasca risultava di fatto molto ridotto dalla struttura portante. Questa valutazione è alla base dello sviluppo successivo delle grandi cisterne sotterranee caratterizzate, grazie all’impiego in larga misura dell’arco, da gallerie coperte a volta e da ambienti colonnati anche molto vasti che garantivano ampi bacini di raccolta. Ma prima di arrivare a trattare di simili architetture, indugio ancora sul tipo di cisterna simile al pozzo “classico”, perlopiù a sezione rettangolare e fondo concavo, com’è nel caso della cisterna della Casa di Micione e Menone ad Atene, ma anche a sezione diversificata, tendente a “bottiglia”, ad “imbuto rovescio”, a “campana” od anche a “pera”. Esempi di questa ampia serie tipologica si ritrovano in tutto il bacino mediterraneo e si collocano tra il periodo arcaico classico ed il periodo ellenistico. Citerei i casi di città puniche come Cagliari o greche come Siracusa; o di Civita Artena, nell’antico Lazio, o di Fontanelice, nei pressi di Imola, sito dell’Etruria.
Il caso di Fontanelice mi torna utile per sottolineare la necessità di aumentare la superficie del bacino di raccolta dell’acqua, realizzato con la costruzione di cunicoli e gallerie convergenti alla camera principale. Tali soluzioni articolate furono applicate diffusamente.
Strutture a “bottiglia” si ritrovano nei pozzi-cisterna dei rami secondari dell’acquedotto di Pisistrato, ad Atene; ma si tratta di impianti idraulici di distribuzione dell’acqua e non della sua conservazione. Tali aperture a pozzo, del resto, vanno soggette alle necessarie protezioni dei pozzi di raccolta veri e propri, affinché non risultino inquinati da agenti esterni.
La maggior parte delle cisterne a “bottiglia” è scavata direttamente nel sottosuolo, con adeguato rivestimento a parete con uno o due strati di intonaco. Il progressivo restringimento verso l’alto dell’invaso determina una maggiore area di decantazione dell’acqua verso il fondo, spesso provvisto di un opportuno abbassamento centrale al fine di agevolare la sedimentazione delle impurità.
Le cisterne romane erano parte integrante del complesso impianto di adduzione idrica delle città.
Ad ogni buon conto, fatte salve le specificità dei manufatti, castella, cisterne o piscinae limariae presentano caratteri strutturali comuni, riconducibili alla diffusa tendenza ad aprire gli invasi nel sottosuolo (per garantire frescura e miglior conservazione, ma anche per evidenti ragioni connesse all’altimetria), alla estrema cura posta nell’impermeabilizzare le pavimentazioni e le pareti di bacini di raccolta (con forte intonacatura di malta a base di calce, sabbia/pozzolana e cocciopesto).
Cisterne cunicolari sono documentate già nelle colonie greche di Sicilia; l’impianto labirintico a sviluppo orizzontale ne suggerisce la collocazione anche in ambito romano. Più che la specificità temporale sono le particolari caratteristiche strutturali di impianti di questo tipo. Nel complesso denominato “Le Grotte”, ad Atri, Colle Muralto (Teramo), la collocazione delle cavità entro le formazioni conglomeratiche consente il prelievo delle acque di trasudo dalle pareti e dalla volta. Questo complesso si articola in due settori differenziati per orientamento e caratteristiche:il primo, composto da cunicoli solo parzialmente intonacati e che aveva funzione di impluvium del sistema; il secondo, originariamente interamente impermeabilizzato con specifica funzione di bacino di conserva dell’acqua.
Un tipo di cisterna a camera singola e camere parallele non comunicanti comprende serbatoi di piccola e media dimensione, generalmente sviluppati sull’asse longitudinale per meglio adattare l’opera alla morfologia dei luoghi. A Chieti esiste una cisterna molto interessante, a camera unica con pianta a “L” rovesciata. La cisterna – connessa agli ultimi grandi sbancamenti che interessarono il colle teatino e che ne determinarono il passaggio da sotterranea che era a sopraelevata sul suolo – si sviluppa per circa novanta metri, misurando in galleria quattro metri di larghezza e tre di altezza. La copertura è a botte a tutto sesto.
Ma sono le cisterne a camere multiple e comunicanti il tipo architettonico maggiormente diffuso nell’ambito degli edifici pubblici.
In territorio marchigiano sono state individuati numerosi siti di cisterne, come quelle di Ad Aesin (Falconara Marittima), di Urbs Salvia (Urbisaglia), di Cupra Marittima (Cupra Marittima), di Faleria (Falerone). Ma il complesso in assoluto più significativo è quello di Fermo, Piscina Epuratoria, la cui importanza è riconosciuta anche al di fuori dello stretto ambito locale.
Si tratta di una grande cisterna sotterranea a pianta rettangolare, lunga oltre sessantacinque metri e larga ventinove, con il muro perimetrale spesso oltre un metro e mezzo. All’interno, raggiungibile originariamente mediante una scala collocata in un corridoio coperto a botte, sono conservati il pavimento e ampie porzioni dell’intonaco impermeabilizzante, spesso sino a venti centimetri.
Il bacino è suddiviso da murature in laterizio a formare trenta ambienti rettangolari, coperti con volta a botte e intercomunicanti per il tramite di diversificate aperture ad arco. La pendenza del pavimento e la posizione dei punti di collegamento fra le singole camere favoriva il deflusso delle acque verso i calices delle tubazioni per la distribuzione dell’acqua nella rete idrica urbana.
Ancora a Fermo si trova una cisterna che, ancorché di minore complessità, pura ha motivi di interesse. Si tratta di un edificio quadrangolare di ventotto metri per dodici, sviluppato in altezza su cinque metri, suddiviso in sei camere coperte con volte a botte da murature nelle quali sono aperte le arcatelle di comunicazione. Come nel caso della Piscina Epuratoria, l’alimentazione della cisterna era garantita attraverso bocchette fittili posizionate all’imposta delle volte o nelle volte medesime. Ad oggi, utilizzata come sede delle civiche raccolte archeologiche, della cisterna non si conosce la rete di adduzione.
Una variante a questo tipo architettonico – nel quale l’acqua risulta depurata per circuitazione – è rappresentato dalle cisterne a camera multipla, queste comunicanti per camere successive, nelle quali l’acqua è condotta dalla prima camera alle successive.
Un interessante esempio di questo tipo si trova nei pressi di Mignano Montelungo, nel territorio di Sessa Aurunca. Si tratta di una vasta costruzione rettangolare di quaranta metri per cinque, suddivisa in ambienti comunicanti disposti lungo l’asse principale. Ciascuno di questi è dotato di aperture per l’aerazione e coperti con volta a botte. La cisterna fu progettata per conservare le acque piovane percolanti da un bacino di raccolta posto a monte; esse erano introdotte nella cisterna vera e propria dopo aver attraversato due camere di filtraggio riempite di pietrame. L’opera fu riorganizzata mantenendo in funzione il primo sistema di raccolta dell’acqua e contestualmente ridotto il volume della cisterna. L’apporto di acqua fu incrementato con un acquedotto che captava le acque dell’attuale Fontana di Cesima.
La tipologia di cisterna più compiuta dal punto di vista architettonico o, almeno, quella che si può ricondurre ad un tipo “ideale” di cisterna romana, è la cisterna su pilastri che sorreggono una volta, cui nel tempo si affiancheranno le cisterne con volta sorretta da colonne.
Nella zona di Albano Laziale si trova una notevole cisterna denominata, dall’originario proprietario, Piscina Torlonia.
Si tratta di una costruzione rettangolare di quaranta metri per trenta, suddivisa in sei navate da cinque allineamenti di pilastri (otto per ciascuna), coperte con volte a mezza botte. La grande vasca è ricavata in una fossa scavata nella collina e costruita in opus mixtum con ricorsi di laterizio alternati al paramento in opera di peperino. L’impermeabilizzazione della vasca era ottenuta con un intonaco compatto. Di rilievo la presenza di modiglioni di pietra locale all’imposta degli archi e nei muri perimetrali, situati tutti alla medesima altezza, dapprima usati come sostegno alle impalcature delle volte e delle arcate di raccordo durante la costruzione ed in seguito “reimpiegati” a guisa di ornamento.
Un significativo esempio di cisterna alimentata da un acquedotto è il grande serbatoio terminale dell’Aqua Augusta campana; il lungo acquedotto portava le acque sorgive del Serino a Nola, Pompei, Napoli, Pozzuoli, Baia e andava a terminare all’interno della grande base navale della flotta del Miseno. La Piscina Mirabile sarebbe opera di Marco Agrippa, solerte predecessore dei curatores acquarum imperiali. La vasta cisterna a pianta rettangolare misura settanta metri per venticinque ed è alta oltre dieci metri. Quasi completamente interrata, ha spazio interno suddiviso in cinque navate con volta a botte, sostenute da quarantotto pilastri in laterizio con pianta a croce. Murature d’ambito e pavimentazioni erano adeguatamente impermeabilizzate con uno spesso strato di intonaco che nei punti di giunzione formava i cosiddetti pulvini.
Una serie di ambienti aggiunti in età più tarda lungo il lato settentrionale – con muratura in laterizio e volte a botte – non hanno rilevato a tutt’oggi l’esatta funzione.
Anche dopo la caduta dell’Impero d’Occidente numerose cisterne continuarono a funzionare come capisaldi dei sistemi di raccolta e distribuzione dell’acqua, in taluni casi addirittura come mezzi esclusivi di approvvigionamento, in specie con la caduta in rovina dei principali acquedotti. È il caso delle cisterne di Todi, di Pola, di Napoli. Altre, in pressoché totale abbandono, furono riattivate nel corso dell’ottocento per servire nuovamente agli usi della popolazione, com’è il caso di Albano, di Narni, di Fermo.
È in Oriente che la tecnica costruttiva romana delle grandi cisterne lascerà più a lungo e in maniera duratura le tracce di architetture grandiose, distribuite in tutto l’impero. Un complesso sistema che si articolava in decine e decine di cisterne nella sola Costantinopoli, alcune delle quali ancora oggi perfettamente conservate. Citerei, fra le altre, Yerebatan Saray (il Palazzo Sotterraneo), la Bin Bir Direk, la Cisterna Sphendone o dell’Hippodrome e la Cisterna di Teodosio.
Di assoluto rilievo è il caso della città capitale dell’Impero Romano d’Oriente, dove si è costituito nel tempo un sistema articolato e complesso di cisterne, distribuite in tutta la città storica.
Oggi si individuano trentun siti nella sola penisola tra il Corno d’’Oro ed il Mar di Marmara. Fra queste, talune sono pervenute a noi pressoché intatte e mantengono ancora l’acqua. Altre sono state trasformate, anche in maniera radicale da non consentire altro che una lettura del sito. Altre ancora sono in stato di rovina ed abbandono.
Le acque condotte alla città attraverso una complessa rete di adduzione alimentavano numerose cisterne coperte o a cielo aperto. Oltre a quelle destinate ai consumi della popolazione vi erano quelle specificamente riservate al palazzo imperiale e ai palazzi delle famiglie più ricche ed importanti. Delle quattro cisterne a cielo aperto, vastissime, tre erano all’interno della cerchia muraria difensiva della città. Fra le cisterne coperte, talune conservano pressocchè integralmente l’impianto e l’architettura.
Yerebatan Saray – Cisterna Basilica di Illò, anche, per la vicinanza all’edificio di culto – è una vasta costruzione costantiniana degli inizi del IV secolo d.C., ampliata da Giustiniano (527-565 d.C.). È un vasto ambiente rettangolare, completamente interrato, di 141 metri per settantatrè, suddiviso in tredici navate cui fanno da contrappunto la straordinaria selva di 336 colonne, alte otto metri.
La percezione monumentale dello spazio è assicurata, per nulla scalfito dalla contemporanea presenza di capitelli, colonne, zoccoli di fattura diversa, evidente recupero e reimpiego di materiali provenienti da luoghi (il Foro di Teodosio, in specie) caduti in rovina o demoliti per il proposito.
La Bin Bir Direk, o Cisterna delle Mille e una colonna, o Cisterna di Philosseno; una vasca di 64 metri per 56, conta 224 colonne su 16 file di 14, a doppia altezza complessiva di quasi quindici metri – si tratta, infatti, di due colonne sovrapposte (bindir, sovrapposto, restituirebbe l’origine del nome di questa cisterna) sulle quali è stato realizzato in età ottomana un piano ammezzato – che sorreggono volte a crociera.
Nonostante il pesante intervento di recupero di questi ultimi anni, non foss’altro che per la destinazione d’uso, si percepisce pressoché integralmente il monumentale senso dello spazio che faceva di questa cisterna un luogo fantastico, e rappresentava, nel complessivo sistema di cisterne di Costantinopoli, il tramonto definitivo della civiltà romana e l’alba della nuova civiltà dell’Impero d’Oriente