Anno 3 - N. 8 / 2004


Il calderone di Gundestrup

Bottini di guerra

Al museo nazionale danese di Copenaghen

di Inger Østergaard - traduzione e adattamento di Anita Favilla




Il calderone di Gundestrup è stato il centro dell’attenzione della mostra al Museo Nazionale danese che ha avuto luogo a Copenaghen dal Maggio 2003 al Gennaio 2004 dal titolo “I bottini della vittoria” (“The Spoils of Victory”) (1).
Particolare interesse destò il “calderone” nella straordinaria mostra “I Celti - La prima Europa”, organizzata da Gae Aulenti a Palazzo Grassi, Venezia, dal marzo al dicembre 199. (nota del traduttore)
L’idea guida della mostra era volta a dimostrare che tra l’Impero Romano e i “paesi barbari” c’era stata una relazione più stretta rispetto a quella tradizionalmente ritenuta e che, soprattutto la Danimarca, che viveva per così dire all’ombra della civiltà romana, aveva stabilito originali e poco noti contatti con l’impero romano.
Tali rapporti, pertanto, potrebbero risultare fondamentali per cogliere a pieno proprio lo sviluppo della società danese, dalla religione all’uso della lingua scritta, dalle istituzioni legali alla centralizzazione del potere.
Molti ritrovamenti archeologici risalenti al periodo che nella storia danese è chiamato “Età romana del ferro” ( dallo 0 al 400 d.C.) comproverebbero queste ipotesi.
Gli oggetti ritrovati presentano un ottimo stato di conservazione, anche perché, specialmente i manufatti sacrificali, derivati in genere da bottini di guerra, sono stati in qualche modi protetti dai luoghi stessi in cui vennero collocati, luoghi trasformatisi, col tempo, in paludi e torbiere.
È bene ricordare che proprio la Danimarca è il luogo europeo in cui è stato ritrovato il maggior numero di spade romane del periodo considerato.
Altri reperti preziosi come gioielli, vetro, argenteria, recuperati in genere nelle tombe, testimonierebbero chiaramente i contatti (e le contaminazioni ) poco note tra la Danimarca e Roma.
Tra tutti gli stupendi oggetti e i reperti posti in evidenza nell’esposizione comunque, se ne staglia uno in particolare, magnifico e misterioso a un tempo: il calderone di Gundestrup, ritrovato nel 1891 in una palude dell’Himmerland, nella parte settentrionale della penisola dello Jutland.
Era interamente costituito da piastre rettangolari d’argento che sormontavano un piatto dello stesso metallo. Al momento del ritrovamento il calderone si presentava smontato a pezzi, come in attesa di essere usato in una cerimonia, probabilmente propiziatoria o sacrificale. Un attento esame del suolo rivelò inoltre che il luogo della sepoltura doveva essere situato, originalmente, in una zona asciutta.
Nel 1892 il calderone venne ricostruito nella forma attualmente visibile: cinque lunghe piastre vennero a costituire l’interno e sette (originariamente otto) l’esterno, tutte sormontanti il pezzo rotondo della base. Il diametro è pertanto di 69 cm., mentre l’altezza è di 42 cm. Quasi 9 kg. di argento vennero impiegati per la sua fabbricazione e su ogni piastra vennero sbalzati vari motivi per riprodurre storie di animali, piante, divinità. Le piastre della parte inferiore erano originariamente dorate e anche le piastre esterne mostrano tracce di doratura per far risaltare certi particolari come, per esempio, tutti i collari o le collane metalliche indossate dalle figure umane.
Molti sono però ancora i quesiti ( misteri?) che circondano questo gran calderone.
Innanzitutto il periodo e la località in cui venne fabbricato; come arrivò in Danimarca e infine il vero significato delle scene rappresentate sulle piastre di argento massiccio. La fattura e lo stile indicano una origine tracia, ma i motivi decorativi sono celti. Indubbiamente.
Lo stile delle decorazioni non è per altro identico, opera probabilmente di più di un artista. Ipotesi questa confermata da un meticoloso studio dei segni lasciati dagli attrezzi usati.
Le più recenti indagini fanno supporre la partecipazione all’opera di almeno quattro diversi argentieri. Il tutto fa pensare a una co-produzione tracio-celtica, ma è lecito porsi la domanda se esisteva in Europa un luogo in cui poteva aver luogo una tale coesistenza culturale. Probabilmente il luogo era quello che oggi è compreso tra la Bulgaria nord occidentale e la Romania sud occidentale. Qui tribù tracie e gli “Scordisci” celti vivevano a stretto contatto, unendosi probabilmente in una lega tribale.
Sull’arrivo del calderone in Danimarca sono state poi avanzate varie ipotesi. Può essere stato portato da rifugiati in fuga a causa dei cruenti conflitti scoppiati attorno al 60 a.C., quando il re Burebista costrinse le tribù tracie a sottomettersi; oppure può essere stato portato a nord dalle tribù germaniche come bottino di guerra. Come è noto i Romani impiegarono abbondantemente la cavalleria germanica nei loro eserciti e ciò avallerebbe questa seconda ipotesi.
Tra le ipotesi ve n’è anche una relativa a un possibile ruolo dei Cimbri e dei loro conflitti con gli “Scordisci” appunto. Si viaggia ancora, come si vede, sul terreno delle ipotesi.
Anche le scene rappresentate sulle piastre sembrano avvolte dal mistero. Per cercare di svelarne il significato può essere utile focalizzare l’attenzione sulle diverse parti che compongono il calderone. Esaminiamolo attentamente, da vicino.
La base, innanzitutto, è costituita da una piastra rotonda che presenta in altorilievo un toro. Sopra il toro è situato un combattente di tori, anzi una donna combattente, come indicano i seni. Compaiono poi tre cani, uno dei quali giace morto. La raffigurazione del combattimento sembra alle battute finali perché il toro è in procinto di stramazzare a terra e di ricevere il colpo finale. Pur con questi elementi è impossibile affermare con certezza che la scena rappresenti un sacrificio rituale, una tauromachia o una scena di caccia .
È stilisticamente importante rilevare invece che la pelle dell’animale è caratterizzata da centinaia di segni in forma di mezzaluna ottenuti con un punzone ( ma ciò non aggiunge molto alla decifrazione).
Nelle cinque piastre interne sono raffigurate poi varie scene. In una si scorge una figura di uomo in posizione seduta con indosso una specie di tuta rigata.
Ha un torcione in una mano e nell’altra un serpente con la testa di ariete. Ha, inoltre, corna di cervo sulla testa. È inoltre circondato da vari animali: ancora un cervo, un lupo, un paio di leoni; poi ancora una figura umana che cavalca un delfino, alcune antilopi e capre di montagna. Su un’altra piastra un uomo barbuto solleva i pugni chiusi, in uno dei quali tiene una ruota ed è vicino ad un’altra figura che porta un elmo con le corna.
Queste figure sono circondate da lupi, grifoni e un serpente con la testa di ariete.
Non si sa con certezza chi rappresentino queste figure maschili: la prima sembrerebbe una sorta di dominatore o governatore del mondo animale, un dio della natura con i suoi misteri; la seconda potrebbe rappresentare il divino romano Giove o il dio celtico Taranis, governatore del cielo, dio del tuono e della guerra, al quale i Celti sacrificavano vite umane. La terza piastra rappresenta una scena di guerra. Sul lato sinistro si nota una figura più grande delle altre. Porta una treccina o un copricapo allacciato con un fiocco. Sostiene un piccolo uomo a testa in giù su un oggetto a forma di secchio.
Di fronte all’uomo, sotto il secchio, un cane è rappresentato a mezz’aria, come se stesse saltando.
La scena è completata da due file di guerrieri: in quella superiore sono a cavallo, in quella inferiore sono a piedi con lancia e scudi. Gli ultimi tre soldati della schiera superiore suonano strumenti a fiato identificati con le trombe di guerra celtica a forma di cornucopia. Anche qui siamo di fronte a diverse interpretazioni.
C’è chi ritiene si tratti di una immersione rituale in un secchio/calderone, appunto simbolo di rinascita e chi sostiene si tratti più semplicemente di una morte per annegamento.
La piastra successiva mostra l’uccisione di un toro, ripetuta tra volte. I Traci, così come i Celti, erano soliti sacrificare dei tori nelle loro cerimonie religiose. Qui, inoltre, compare il simbolismo del numero tre, comune a molte culture.
Nell’ultima piastra si nota una dea circondata da elefanti, grifoni e un lupo.
Le piastre esterne sono più semplici: raffigurano tutte una figura maschile o femminile di cui si vede la testa o il busto. Dalla loro grandezza si può dedurre che siano delle divinità. I loro occhi dovevano contenere probabilmente vetri colorati, andati perduti.

Così si presenta il “calderone”, questi i suoi enigmi.
È molto probabile che sia stato fabbricato nel I sec. a.C., ma non si può dire con certezza che si trattasse di un bottino di guerra. Fu posto in un luogo poi diventato palude per un sacrificio agli dei come molti altri reperti esibiti nella mostra. E su ciò, ma solo su ciò, le interpretazioni convergono.
Il calderone di Gundestrup è parte della collezione permanente del Museo Nazionale danese di Copenaghen e il fascino e l’alone di mistero che suscita nei visitatori è sempre verificabile, per chi lo volesse, direttamente.